2016-06-13 12:02:00

Cile. Strumentalizzata la Chiesa per rivendicazioni politiche


Negli ultimi 12 mesi in Cile, nella regione dell'Araucania, nel sud del Paese, più di 25 Chiese cattoliche ed evangeliche sono state bruciate. Una prassi che è stata denunciata in un documento anche da un gruppo di dieci religiosi che vivono e lavorano nel territorio. Le cause di tali profanazioni sono vaghe e fumose: una parte del problema viene intravisto nel conflitto tra proprietari terrieri e indios Mapuche, una minoranza della popolazione (12%) che chiede il riconoscimento di diritti e la restituzione da parte dello stato delle terre. Luis Badilla Morales, giornalista latino-americano e responsabile del sito "Il Sismografo", al microfono di Valentina Onori parla di questa escalation di violenza e delle possibili rivendicazioni politiche in atto nel Paese:

R. – Ormai, siamo ad oltre 25 chiese incendiate in questi ultimi anni. C’è una parte che si può spiegare, che riguarda la regione della cosiddetta Araucania, dove c’è un conflitto tra i proprietari terrieri e le minoranze aborigene, i Mapuche, che in Cile sono più o meno il 12% della popolazione. In alcuni casi, si è potuto accertare giuridicamente che si trattava di persone legate a questa etnia cilena. E’ però una parte del fenomeno e non lo spiega tutto, anche perché molti incendi si sono verificati in altri luoghi, al di fuori di questa zona.

D. – Questa etnia si contrappone dagli anni Novanta al governo cileno?

R. – In Cile, esiste da oltre un secolo un conflitto fra l’etnia Mapuche e i cileni, legato al fatto che dai tempi del colonialismo gli indios sono stati espropriati, derubati delle loro terre. Dopo la fine della dittatura di Pinochet, i governi democratici hanno fatto nuove leggi – molto buone, molto positive – e molto è cambiato. E’ cambiato anche il clima culturale nei confronti dei Mapuche, che sono una minoranza discriminata, emarginata e maltrattata. Negli ultimi anni, purtroppo, questi progressi si sono fermati e in qualche modo i proprietari terrieri si sono sentiti autorizzati a riprendere questa loro condotta, che consiste nell’espropriare di fatto la terra agli indios. La Chiesa si è sempre schierata a favore dei diritti e delle rivendicazioni degli indios Mapuche, ma loro identificano il proprietario terriero con il cristianesimo e credono che, attaccando le chiese, protestando contro la Chiesa cattolica in particolare, stiano rispondendo ai bianchi proprietari terrieri che li hanno derubati.

D. – Come si potrebbe risolvere questa violenza?

R. – Questo problema può essere risolto solo dalla politica. La Chiesa può creare le condizioni per un dialogo, per un incontro, per una discussione, fermo restando che i Mapuche hanno diritti che vanno rispettati. Chi crede che con i Mapuche si possa dialogare pensando che siano una minoranza insignificante, che non conta, che non ha diritti, vuol dire che non vuole il dialogo.

D. – Perché identificano il cristianesimo con la dominazione?

R. – E’ una eredità culturale che viene dai tempi della conquista e della colonia. Sono stati gli spagnoli a conquistare l’America Latina e lo hanno fatto spesso usando la dicitura “In nome del cristianesimo”. In modo meccanico, in modo artificiale, in modo arbitrario si è identificata la croce con la spada, l’evangelizzazione con il colonialismo. Di fronte a situazioni di conflitto come questa, riemerge un pregiudizio storico che viene strumentalizzato da più parti. C’è nell’impianto politico di alcuni gruppi minoritari l’idea che per attaccare il capitalismo, per controbilanciare una globalizzazione selvaggia, per difendere i poveri, occorra anche attaccare la Chiesa, che loro percepiscono come alleata a interessi antioperai o antiproletari. La cosa sorprendente è che questo fenomeno si sia verificato in un Paese, forse l’unico, e se non l’unico, uno dei pochi, nel continente americano, dove non è mai esistito nel suo lungo periodo storico un solo conflitto religioso. Evidentemente siamo di fronte ad una strumentalizzazione violenta, politica, partitica, estremista di una realtà che non corrisponde al vero.








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