2016-06-14 13:51:00

Etiopia-Eritrea: scambio di accuse su scontri alla frontiera


Ancora reciproche accuse tra Eritrea ed Etiopia sull’avvio degli intensi combattimenti degli ultimi giorni lungo la zona centro-orientale della frontiera, nei pressi di Tsorona. Nel 2000, un accordo di pace pose termine a due anni di guerra di confine tra i due Paesi, ma all’intesa non è mai stata data completa attuazione, con continue tensioni che aggravano le rispettive situazioni interne. Solo la scorsa settimana a Ginevra il regime eritreo è stato accusato di crimini contro l'umanità su grande scala da un’apposita commissione d’inchiesta dell’Onu: i rappresentanti delle Nazioni Unite non sono stati autorizzati ad entrare in Eritrea, guidata dal ’93 da Issaias Afewerki, ma hanno ascoltato oltre 800 eritrei in esilio. Il rapporto dell’Onu, che sarà discusso il 21 giugno al Consiglio dei diritti dell’uomo, ha tratteggiato una situazione gravissima per 300-400 mila schiavi, denunciando torture, privazioni delle libertà, sparizioni forzate, persecuzioni e violenze. Per un quadro della situazione, Giada Aquilino ha intervistato Bruna Sironi, collaboratrice da Nairobi della rivista comboniana "Nigrizia", che ha vissuto per anni in Eritrea:

R. – In realtà non è mai stato chiuso il contenzioso di confine tra l’Etiopia e l’Eritrea. Dopo la guerra del 1998-2000, c’è stata una commissione all’Aja che ha definito a chi appartiene una serie di territori contestati, tra cui Badme, che è stata il motivo della guerra di fine anni ’90. Il verdetto della commissione avrebbe dovuto essere definitivo: in realtà, l’Etiopia non ha accettato di ritirarsi da Badme, che era stata assegnata all’Eritrea.

D. – Queste continue tensioni aggravano le rispettive situazioni interne. La settimana scorsa, ad esempio, a Ginevra il regime eritreo è stato accusato di crimini contro l’umanità su grande scala: si parla di 300-400 mila schiavi. Qual è la situazione in Eritrea?

R. – Gli schiavi sono i ragazzi in servizio nazionale senza fine e permanente. Si possono considerare degli schiavi moderni, perché non hanno la possibilità di decidere del proprio futuro, della propria vita. L’ha voluto il governo eritreo, nel momento in cui ha deciso che la sua linea sulla questione di frontiera e sulla non chiusura del conflitto era che si considerava permanentemente in guerra con l’Etiopia: quindi ha istituito una leva obbligatoria per tutti i cittadini. E dunque i ragazzi sono tenuti a frequentare l’ultimo anno della scuola superiore al training militare e da lì poi vengono indirizzati al servizio nazionale, che appunto non praticamente ha fine.

D. – L’Eritrea ha ottenuto, nel 1991, l’indipendenza dall’Etiopia dopo decenni di guerra; al potere è andato Afewerki. Oggi che Paese è?

R. – Oggi è un Paese in grande crisi. Questo problema di confine con l’Etiopia ha finito per mettere in moto politiche isolazioniste. Sicuramente la popolazione vive nella paura. Il governo è “occhiuto” e la gente non può esprimersi liberamente, perché le persone che lo fanno vengono tacciate di tradire il Paese. E soprattutto la gente non è libera di fare quello che vorrebbe: quindi, non può uscire dal Paese, i visti non vengono dati se non si ha un’età avanzata, in quanto i giovani sono appunto considerati in servizio militare e per questo non possono lasciare il Paese. In questo quadro, i giovani scappano…

D. – Fra i migranti che arrivano sulle coste europee, gli eritrei rimangono tra i più numerosi. E’ dunque per questo?

R. – Certo: scappano per questo! Scappano perché il clima è opprimente e le possibilità di avere un futuro e di decidere del proprio futuro non esistono.








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