2016-06-20 14:12:00

Siria. Campanini: situazione insostenibile, serve stabilizzazione


"L'Unione europea smetta di rimandare i rifugiati siriani in Turchia finche' restera' gravata da un numero enorme di rifugiati e incapace di fornire protezione sufficiente e sicurezza per tutti". E' l'appello lanciato da Human Rights Watch a seguito delle accuse rivolte ad Ankara da parte di diverse ong di aver ucciso almeno 8 profughi, tra cui 4 bambini, che cercavano di entrare in Turchia dalla Siria. Il Paese ad oggi ospita oltre 2 milioni di rifugiati siriani. Le migrazioni forzate nel mondo hanno toccato livelli mai raggiunti in precedenza: circa 65 milioni di persone costrette alla fuga lo scorso anno, secondo il rapporto annuale pubblicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Sui conflitti in corso e sulla crisi siriana che stanno minando la stabilità del Medio Oriente, Valentina Onori ha intervistato Massimo Campanini, docente di Islamistica e Storia dei paesi islamici all’Università di Trento:

R. – La mia opinione è che l’Isis si trovi in una fase di stallo o addirittura di arretramento. Ho sempre ritenuto che ci sia stata per molto tempo una non-volontà di combattere l’Isis. Dall’invasione dell’Iraq nel 2003, sotto la presidenza di George W. Bush, ad oggi, tutta la zona è profondamente destabilizzata. L’Iraq inteso come Stato compatto che tiene insieme le minoranze curde, la maggioranza sciita e anche – si può dire – la minoranza sunnita, ormai non esiste più; lo stesso vale per la Siria: Bashar al Assad ormai è “bruciato”. Anche se dovesse rimanere in sella, non potrà più avere né il potere né il controllo del territorio che aveva prima. La Siria adesso è letteralmente “un buco nero”, una disgregazione totale di cui non è fattivamente ipotizzabile che cosa succederà dopo, perché molto dipenderà dalla resilienza di Bashar al-Assad; dal fatto che la Russia e gli Stati Uniti troveranno una convergenza di decisione politica; dagli equilibri delle tre grandi potenze rimaste in piedi, cioè la Turchia, l’Arabia Saudita e l’Iran che evidentemente cercano di farsi le scarpe gli uni agli altri

D. – L’allarme profughi è solo la punta di un iceberg …

R. – La Turchia, negli ultimi mesi, è stata bersaglio di una serie di attentati terroristici interni. E’ chiaro che il regime di Erdogan in qualche modo si senta assediato e soprattutto senta l’ostilità. La Turchia si trova in una situazione di fragilità e deve cercare di difendere se stessa e le proprie frontiere. Il fatto che abbia sparato contro dei migranti è naturalmente un fatto terrificante ed estremamente doloroso. Una spiegazione è possibile trovarla nel senso che la Turchia deve affrontare un terrorismo interno, deve affrontare dei tentativi di destabilizzazione e deve affrontare obiettivamente l’ostilità dei suoi ex-alleati: la Nato e anche la Russia. Il principale elemento di pericolo nel Medio Oriente è che non c’è più un centro di gravità permanente, cioè non c’è più un Paese come era all’epoca dell’Egitto di Nasser e di Sadat, che possa fungere da perno stabilizzatore di una regione tradizionalmente "ballerina".

D. – La situazione più preoccupante nel Medio Oriente rimane quella siriana?

R. – Oggi come oggi, sì; ma “siriana” da sola non ha senso: bisogna dire – secondo me – “siro-irachena”. Il problema non è la questione di un intervento militare; il problema è politico, perché attiene e coinvolge i rapporti tra Russia e Stati Uniti: Obama non ha possibilità di decisione perché tra pochi mesi decade. In secondo luogo, c’è la questione politica degli equilibri o disequilibri tra Iran e Arabia Saudita. E naturalmente il fatto che la politica occidentale sia sempre stata filo-saudita e anti-iraniana è stato un errore: avrebbe dovuto essere una politica più bilanciata.

D. – Quale tipo di politica attuare?

R. – Anzitutto, una tavola di accordo, di convergenza con la Russia; in secondo luogo, cercare di mediare in maniera seria nelle opposte egemonie dell’Iran e dell’Arabia Saudita con una politica bilanciata. Rimettere insieme i pezzi non è facile. Io credo che la soluzione federale sia l’unica soluzione possibile.

D. – Riguardo alla crisi umanitaria dei profughi, i corridoi umanitari sono la soluzione, secondo lei?

R. – Non c’è soluzione al problema dei profughi. La desertificazione, il cambiamento del clima a un certo punto sposteranno centinaia di milioni di persone. I flussi saranno sempre più forti, metteranno in crisi le economie dell’Occidente e dei Paesi europei, soprattutto del Sud Europa. Bisogna lentamente adattare le nostre società all’assorbimento di questi flussi. In prospettiva dobbiamo aspettarci veramente delle riscritture, dei ridimensionamenti o rivoluzionamenti dal punto di vista economico, politico, demografico di tutti i Paesi del Nord e del Sud del mondo.








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