2016-06-20 14:20:00

Mattarella al Centro Astalli: solidarietà con gli immigrati


I 35 anni di attività del Cento Astalli, la sede del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, e l’odierna Giornata mondiale del rifugiato hanno fatto da sfondo, stamani a Roma, alla visita del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, al centro di accoglienza San Saba. Ad attendere il capo di Stato c’erano oltre 200 rifugiati. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

L’Italia, da tempo impegnata in prima linea per far fronte all’emergenza dell’immigrazione - ha detto il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella – richiede con forza un impegno autenticamente corale da parte della comunità internazionale, a partire dall’Unione Europea. In un Paese segnato dal calo demografico come in Italia – ha spiegato – i migranti possono essere una ricchezza. Di fronte all’epocale fenomeno migratorio – ha aggiunto Mattarella - ci sono due scelte:

“Una è quella di far finta che non esista il fenomeno, cercare di rimuoverlo, di cancellarlo, illudendosi che per far questo basti un divieto di ingresso, basti una legge o qualche barriera sui confini. E l’altra alternativa è quella di affrontare il fenomeno migratorio, con senso della realtà e con senso di responsabilità affrontandolo e governandolo. Ed è l’unico modo per governarlo in maniera solidale, intelligente e che consenta di regolarlo con ordine e in sicurezza. Ma occorre fare la scelta fra queste alternative. La scelta che il nostro Paese ha sempre fatto è la seconda”.

Sulla visita del capo di Stato italiano si sofferma il presidente del Centro Astalli, padre Camillo Ripamonti che ha accompagnato Mattarella nel Centro San Saba:

"È una giornata importante. Il presidente della Repubblica ci dimostra, venendo a fare visita in un centro di accoglienza di un quartiere di Roma, anche un’attenzione per la questione dell’integrazione. L’integrazione è un riconoscersi reciproco, è un cammino in due direzioni: sia di chi arriva – e quindi di chi viene accolto – ma anche di chi accoglie, che deve conoscere e riconoscere in queste persone delle persone come noi".

Quali sono le storie più significative dei rifugiati ospitati in questa struttura? Ancora padre Camillo Ripamonti:

La cosa più significativa è che sono uomini che vengono da diverse parti del mondo. Vivono insieme e questo non costituisce un problema. Quindi è un esempio di condivisione di culture diverse che è possibile. E poi ci sono storie molto drammatiche in alcuni casi: molti di loro sono arrivati via mare, attraverso quei barconi, quindi affidandosi ai trafficanti.

Durante la visita nel Centro San Saba, il presidente italiano Mattarella ha ascoltato tre toccanti testimonianze. Tra queste quella di Aweis Alba che, prima di fuggire dalla Somalia in seguito all’arrivo dei miliziani Al-Shabaab, faceva parte della Nazionale di calcio somala. Amedeo Lomonaco lo ha intervistato:

R. – In Somalia, il calcio è stato vietato con l’arrivo di Al–Shabaab; non si poteva più giocare a calcio, non si poteva più essere liberi. Il mio tempo non era dedicato solo al calcio: ho sei sorelle che ancora si trovano lì con mia madre, avevo dei negozi, lavoravo, vendevo dvd, cd musicali, cosmetici, per guadagnare più soldi per mantenere la mia famiglia. In Somalia è stato vietato l’ascolto della musica. Quindi mi hanno detto: “Devi chiudere i negozi, devi smettere di giocare a calcio” e ho risposto: “Mi state dicendo che non devi vivere”.

D. – E infatti hanno provato ad ucciderti e poi una telefonata, quella di tua madre, che ti ha salvato la vita …

R. - Mi hanno telefonato per dirmi: “Se non chiudi, ti uccidiamo” ed io risposto: “Io non posso chiudere”. Hanno deciso di uccidermi, hanno fatto irruzione in casa mia; per fortuna ero fuori. Mi ha telefonato mia madre dicendo: “Qui ci sono i ragazzi di Al-Shabaab: ti vogliono uccidere. Non tornare a casa”.

D. - E da quel momento è cominciato un viaggio: sei fuggito da Mogadiscio, poi attraverso il deserto sei arrivato in Libia e lì è iniziato un altro calvario …

R. – C’è voluto del tempo per arrivare in Libia: ho attraversato il Kenya, l’Uganda, il Sudan e poi il deserto su un vecchio camion dove eravamo in tanti, quasi 150 persone. Con i miei occhi ho visto morire quasi tutti coloro che si trovavano sul camion con me. Sono svenuto e mi sono risvegliato in un carcere con i militari libici che mi chiedevano i soldi in cambio della mia libertà. Dopo averli pagati, mi hanno liberato e sono arrivato a Tripoli. Da qui ho deciso di continuare il viaggio.

D. - Quindi dal dramma di un carcere libico sei passato alle condizioni drammatiche di un barcone per arrivare in Italia …

R. - I libici che abbiamo pagato ci hanno detto di salire sulla barca per andare in Italia. E noi: “Dov’è l’Italia?”, e loro: “Diritto, dovete guardare quella stella. Andate dritto”. Questa era la situazione e la condizione. E quindi abbiamo detto: “Chi non rischia la vita, non salva la vita: dobbiamo rischiare la vita per salvarci!”. Bisognava affrontare questo viaggio in mare, perché era morte certa o morte probabile: quindi abbiamo scelto la morte probabile. Per fortuna nessuno è morto sulla barca. Ci siamo salvati tutti e 45, la maggior parte donne. Siamo arrivati a Lampedusa e subito dopo mi hanno trasferito qui a Roma dove ho chiesto asilo; sono rimasto qui sei mesi e poi ho iniziato una nuova vita. Non conosci nessuno, non parli l’italiano, sei venuto dall’Africa …

D. - Hai dormito anche per strada …

R. - Certo. Ho dormito anche per strada e alla fine il Centro Astalli e delle suore salesiane mi hanno aiutato. Alla fine, per fortuna, ho trovato un lavoro.

D. - Cosa sono per te le parole di Papa Francesco, che spesso parla della necessità di un impegno per vincere l’indifferenza, l’esclusione, la sofferenza per andare incontro ai migranti?

R. - Ho incontrato Papa Francesco tre volte. È uno di noi! Le cose che dice sono vere: per noi è molto importante vincere questa paura degli italiani che ci dicono: “Voi ci rubate il lavoro”. Noi possiamo essere amici e fratelli. Siamo scappati, ma non è stata una nostra scelta. Siamo venuti in Italia solo con la nostra vita. Cerchiamo di ricominciare qui, con voi italiani. Possiamo veramente cercare di conoscerci, possiamo essere amici!

D. - Essere amici e ricominciare, magari anche giocando a calcio …

R. - Certo! Anche giocando a calcio: il calcio crea pace.








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