2016-06-20 15:52:00

Rifugiati, il sangue dei profughi sulla giornata mondiale


La giornata mondiale del rifugiato di quest’anno sporcata dal sangue di almeno otto profughi, dei quali quattro bambini, uccisi nel momento in cui tentavano di passare il confine turco dalla Siria. Mentre speravano di lasciarsi alle spalle guerra, orrore, sofferenza. Non ce l’hanno fatta, i loro sogni sono stati fermati da una raffica di proiettili. 

“Ancora una volta – commenta mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes – a farne le spese sono stati i più piccoli. Questo fatto segnala l’aspetto drammatico che già più volte avevamo denunciato: la non gestione dei rifugiati da parte dell’Europa non intervenuta per difenderli con una protezione internazionale. Questi morti ora pesano sulla coscienza europea perché di fatto sono stati scaricati”.

Duro anche Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia:” Chiunque spara a dei bambini che tentano di fuggire dal terrore è un criminale, come è criminale chi li costringe alla fuga dal loro Paese. Il mondo continua a tacere, l’Europa alza muri, la pace in Siria è lontana e nel frattempo le persone costrette a fuggire da questa nazione sono più di cinque milioni”.

A ben guardare i dati sulle migrazioni nel mondo diffusi in questa giornata, si scopre che nel solo 2015 gli spostamenti forzati sono aumentati “toccando livelli mai raggiunti prima”. Federico Fossi, dell’ufficio comunicazione dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, snocciola alcuni dati del Rapporto Global Trends:” Nel mondo, ci sono  più di 21 milioni di rifugiati mentre 40 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case ma si trovano ancora nei confini del proprio Paese. Circa la metà dei profughi, poi, sono bambini mentre  lo scorso anno sono aumentate vertiginosamente le richieste d’asilo”. Da dove arriva la maggioranza dei profughi? “Su questo- spiega Federico Fossi- il rapporto è chiaro. Sono tre i Paesi che producono la metà dei rifugiati del pianeta: Afghanistan, Somalia e Siria”. Zone che avrebbero la necessità, suggerisce mons. Perego, di essere stabilizzate con l’intervento di tutta la comunità internazionale. Obiettivo ancora non raggiunto.








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