2016-06-22 13:57:00

Anziani: contro gli abusi è necessario ridare loro valore sociale


“Grazie perché ci aiutate a farci carico della solitudine e dell’angoscia di tanti anziani e a fare con concretezza la nostra parte come singoli e più ancora come comunità.”Con queste parole don Ivan Maffeis, sottosegretario della Cei, ha ringraziato gli operatori presenti al convegno “Dignità della persona anziana e qualità della cura. Una sfida ad abuso e contenzione”, che si svolge oggi a Roma. L’incontro è stato promosso dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute e dalla Società italiana di gerontologia e geriatria. Il servizio di Marina Tomarro:

Sono oltre 37 mila in Europa  gli anziani che ogni anno subiscono abusi.  il 47% di loro soffre di demenza senile, e solo 1 caso su 23 viene denunciato. Sono questi i drammatici dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che raccontano di un dramma silenzioso che colpisce quella parte della società più indifesa insieme all’ infanzia: la terza età. Ma cosa fare? Ascoltiamo Flavia Caretta dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore

R. – Penso che il modo migliore per prevenire l’abuso e il maltrattamento sull’anziano sia proprio un problema culturale che in realtà è legato al valore che noi diamo alle persone, al valore sociale. Penso che dobbiamo partire dall’idea che oggi l’anziano ha ancora un valore sociale basso. L’attenzione è focalizzata su altri aspetti, su altre età della vita – giustamente -, però l’anziano dovrebbe essere una componente della società a pieno titolo. Da questo poi, secondo me, partiranno le politiche sanitarie, gli investimenti e così via.

D. - In che modo riconoscere questi abusi e soprattutto una volta riconosciuti cosa fare?

R. - Occorre una formazione. Penso che in questo ruolo gli operatori sanitari devono fare molto. Sono i primi che dovrebbero essere di aiuto anche in questa sensibilizzazione e in questa denuncia, perché alle volte l’anziano stesso ha il timore di far presente il maltrattamento che subisce a fronte di eventuali ritorsioni da parte del famigliare, del badante, dell’operatore stesso. Poi, appunto, tutti noi, tutta la società dovrebbe essere sensibilizzata e ognuno di noi può rendersene conto in tanti modi diversi; anche il vicino di casa potrebbe esser d’aiuto in questo.

D. - Tra gli anziani più fragili sicuramente ci sono quelli in fase terminale. In che modo si possono aiutare?

R. - Dipende dall’ambiente dove trascorrono l’ultima parte della vita. Se questo avviene in una struttura residenziale bisogna incidere molto sugli operatori a livello di qualità dell’assistenza. Se poi questo avviene in casa logicamente purtroppo l’anziano che sta morendo avrebbe bisogno, così come il famigliare, di non essere lasciato solo, di aver intorno a sé una rete che può andare dal vicinato, ai servizi se esistono dei servizi territoriali che possano essere d’aiuto in questo.

E fondamentale per riconoscere ed evitare gli abusi  è la formazione degli operatori sanitari, nel delicato lavoro di un accompagnamento dignitoso dell’anziano nell’ultima fase della sua esistenza. Ascoltiamo don Carmine Arice  dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute

R. - La formazione degli operatori è una questione fondamentale, purché questa sia integrale, che preveda un cammino personale dell’operatore: se l’operatore non ha accettato l’invecchiamento, non ha accettato la mortalità, non ha accettato che l’uomo si ammali, come fa questo operatore ad essere in modo sereno e rispettoso con la persona ammalata nella quale vede uno specchio di ciò che lui è o che potrebbe diventare? Allora questo richiede dei percorsi formativi fortemente riformati rispetto a quelli attuali. Quindi formazione sì, una formazione urgente purché sia integrale della persona.

D. – Recentemente Papa Francesco ha sottolineato l’importanza dell’esempio dei nonni per le nuove generazioni. In che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. – Questa non è solo una questione di emotività, di sentimento, perché senza memoria, senza radici non c’è futuro. mi sembra che una cosa che dovremmo imparare di più è il racconto, cioè la capacità di mettersi in ascolto di storie di vita; questo fa bene all’anziano e fa molto bene al giovane perché lì c’è una sapienza che parte proprio da un vissuto che ha fatto sedimentare ciò che è veramente essenziale.








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