Dal 17 giugno il suicidio medicalmente assistito in Canada è legge. Dopo la Camera dei Comuni, infatti, anche il Senato ha approvato il testo presentato dal Governo senza ulteriori modifiche, con 44 voti favorevoli e 28 contrari. Il provvedimento prevede alcune clausole di salvaguardia a tutela dei soggetti più vulnerabili e della libertà di coscienza degli operatori sanitari. Esso esclude infatti esplicitamente i minorenni, le persone con malattie mentali e coloro che sono affetti da malattie degenerative.
Il rischio di interpretazioni estensive della nuova legge
Limitazioni che non fugano le obiezioni morali a una legge che, al di là delle buone
intenzioni dei suoi promotori, di fatto legalizza l’uccisione di una persona. Lo ribadisce
in una dichiarazione diffusa lunedì il card. Thomas Collins, arcivescovo di Toronto,
osservando come tali limitazioni siano aggirabili e superabili nel tempo, come dimostra
quanto è accaduto in altri Paesi in cui è stata introdotta l’eutanasia. Gli stessi
limiti posti dalla sentenza con cui, nel 2015, la Corte Suprema canadese ha chiesto
la sospensione della legge penale contraria all’eutanasia in casi specifici, sono
già presi di mira dai gruppi ad essa favorevoli.
Distinguere tra morire ed essere uccisi
La società canadese – afferma nella nota il card. Collins - è ora chiamata “a un necessario,
ma lungo processo di riflessione su cosa implica per tutti gli aspetti del vivere
insieme la perdita della sua capacità fondamentale di distinguere tra morire ed essere
uccisi”. Occorre poi riconoscere le conseguenze deleterie della riduzione della dignità
di una persona alla sua autonomia, “quando è l’interdipendenza e non l’indipendenza
di ciascuno a sostenere la nostra dignità”. Inoltre, ammonisce l’arcivescovo di Toronto,
il valore della vita di una persona non può essere ridotta alla sua “capacità di funzionare
secondo determinati standard personali di prestazione”.
Garantire cure palliative a tutti i malati sofferenti
Affrontare questi nodi cruciali richiederà tempo, ma alcune cose possono essere fatte
da subito. In particolare il card. Collins esorta a intraprendere tre passi: rendere
effettivo l’accesso di tutti i canadesi alle cure palliative, attualmente limitato
al 30 per cento dei malati; chiamare le cose con il loro nome e quindi fare capire
all’opinione pubblica che la “morte medicalmente assistita”, come viene definito dalla
nuova legge il suicidio assistito, è in realtà l’uccisione di una persona; assicurare
il pieno rispetto della libertà di coscienza degli operatori sanitari che in nessun
modo devono trovarsi nella condizione di essere costretti ad aiutare una persona a
morire.
La Chiesa canadese in campo con una vasta campagna educativa
Il dibattito sull’eutanasia e sul suicidio assistito va avanti in Canada da diversi
anni. Nel 2010 una prima proposta di legge era stata bocciata in Parlamento. Ne era
seguita una serie di battaglie legali culminate nella sentenza della Corte Suprema
del 2015, anno in cui l’eutanasia è stata legalizzata nella Provincia francofona del
Québec. La Chiesa canadese è scesa in campo contro la nuova legge federale con un’opera
educativa capillare, passata per la diffusione di materiale informativo in tutte le
parrocchie con i vescovi impegnati nelle proprie diocesi. (L.Z.)
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