2016-06-23 13:17:00

Colombia: cessate il fuoco definitivo dopo 52 anni di violenze


In una cerimonia all'Avana, il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il comandante delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) Rodrigo
Londono, hanno raggiunto l'accordo sul cessate il fuoco bilaterale e definitivo e il disarmo dei ribelli ponendo fine al conflitto che si trascina nel Paese da 52 anni e che ha causato oltre 220mila morti. 

 In questo quadro, l’intesa può essere letta come l’ultimo passo prima di una pace duratura per la Colombia? Risponde Massimo De Leonardis, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, intervistato da Giada Aquilino:

R. – Certamente. In una successione di accordi a tappe che sono iniziati negli anni scorsi, questa non è ancora la tappa definitiva, che però dovrebbe arrivare il mese prossimo quando, il 20 luglio, cadrà la festa nazionale della Colombia.

D. – Negli ultimi anni, è stato osservato un blocco delle ostilità. Ma quando poi potrebbe di fatto entrare in vigore il cessate il fuoco?

R. – Quando ci sarà la definitiva consegna delle armi da parte della guerriglia. C’è tutta una serie di accordi: c’è una amnistia che dovrebbe riguardare grossa parte dei guerriglieri, c’è un piano di riforma agraria, ci sono condizioni per il reinserimento delle forze rivoluzionarie nella vita politica, comprendente anche la nomina di alcuni senatori a vita appartenenti a queste formazioni. Quindi ci sono ancora dei passi da compiere. Sappiamo che la consegna definitiva delle armi e il reinserimento nella vita politica, anche in base a esperienze di altri movimenti terroristici e violenti come quelli irlandesi, costituiscono sempre una fase delicata.

D. – Come si è arrivati all’intesa? Lei ha parlato di un percorso a tappe…

R. – Questa guerriglia di ispirazione marxista particolarmente sanguinosa dura da 52 anni. Le ultime fasi avevano visto il Presidente Alvaro Uribe, che ha guidato la Colombia dal 2002 al 2010, cercare una soluzione militare alla guerriglia. Sembrava che il Presidente avesse il massiccio appoggio della popolazione in questa linea, perché fu rieletto dopo il primo mandato con il 63% dei suffragi e certamente le Farc subirono grosse sconfitte, che forse sono state all’origine della loro decisione di accettare il dialogo. La politica del dialogo è stata presa dal successore di Uribe, Manuel Santos, l’attuale Presidente, che peraltro era stato ministro della Difesa di Uribe, ma che iniziò questo processo di pace con un primo accordo firmato a Cuba sotto l’“egida” di Raul Castro. Inizialmente, l’accordo non fu accolto bene dalla popolazione: ci furono molte manifestazioni di piazza contrarie, l’indice di approvazione di Santos crollò al 9%, ma in seguito il processo è continuato fino ad arrivare ad oggi.

D. – Negli anni si è parlato di risarcimento alle vittime, ai loro parenti, al reinserimento sociale degli ex bambini-soldato… Che quadro ne esce della Colombia? Comunque di un Paese ferito…

R. – Certamente: è stata una guerriglia durata più di mezzo secolo, ci sono stati periodi in cui intere zone del Paese erano di fatto governate dalle Farc e, come sappiamo, i movimenti guerriglieri in genere si alimentano attraverso forme di estorsione di denaro alla popolazione o ricatti. Quindi certamente c’è da completare un lavoro di pacificazione molto serio e il modello evocato è stato quello della riconciliazione in Sudafrica.

D. – Papa Francesco ha più volte mostrato la propria volontà di essere vicino ai colombiani, magari anche con una tappa di un viaggio. Quanto la Chiesa cattolica è stata vicina alla popolazione, in questi anni?

R. – Come sappiamo, la Chiesa in America Latina ha sempre un ruolo fondamentale, importante. Ha svolto un compito di moderazione e ha sempre cercato di invitare ad agire pienamente nella legalità.








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