2016-06-24 20:13:00

Lombardi: parola "genocidio" usata per sanare non riaprire le ferite


Il Papa ha usato la parola 'genocidio' per ricordare le ferite e sanarle non per riaprirle e rinnovarle, è una memoria per costruire riconciliazione e pace nel futuro: è quanto ha detto ai nostri microfoni il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, commentando l’aggiunta a braccio da parte di Papa Francesco di questo termine durante il suo discorso in occasione dell’incontro con le autorità. Padre Lombardi si è soffermato anche sui buoni rapporti tra Chiesa cattolica e Chiesa apostolica armena, definendolo un ecumenismo ben collaudato. Ma ascoltiamo padre Lombardi al microfono del nostro inviato a Yerevan Giancarlo La Vella:

D. – Padre Lombardi, un viaggio in Armenia, quello di Papa Francesco, iniziato all’insegna dell’ecumenismo, a conferma quasi della continuità del dialogo già iniziato con altri due Pontefici, con la Chiesa apostolica armena …

R. – La Chiesa apostolica armena è una Chiesa antichissima con cui i rapporti ecumenici sono molto buoni; dal punto di vista dottrinale, poi, veramente ci si domanda se ci sia qualche differenza: sembra di no. E quindi i problemi sono un po’ quelli delle divisioni storiche che si sono create nel corso del tempo; ma i rapporti sono molto buoni. L’accoglienza da parte del Catholicos di Etchmiadzin, che è la principale autorità della Chiesa apostolica armena, è stata veramente molto cordiale. Del resto, c’è una serie di contatti ai livelli più alti che risale, in particolare, già a Paolo VI e a Vasken I, dopo il Concilio Vaticano II e poi tutta una collana di incontri tra il Papa e i Catholicos , tra i Papi e le varie autorità della Chiesa armena apostolica. E anche i rapporti tra la Chiesa armena apostolica e la Chiesa cattolica armena sono per fortuna sostanzialmente buoni: è un ecumenismo già ben collaudato che si vive quindi anche come una festa. La cerimonia nella grande Chiesa centrale della città santa di Etchmiadzin è stata una liturgia molto bella: questo altare centrale che c’è nella chiesa su cui, secondo la tradizione, è disceso l’Unigenito in forma luminosa e ha indicato a San Gregorio l’Illuminatore il luogo dove doveva essere costruita la cattedrale, la preghiera davanti a questo altare è stato un momento molto emozionante, certamente per il Papa, per il Catholicos, per me e per tutti i presenti. E anche l’incontro che c’è stato al termine della giornata, come incontro familiare tra il Papa e il Catholicos, presenti oltre 40 vescovi della Chiesa armena apostolica, che hanno salutato tutti il Papa con grande cordialità e con grande devozione, ha dimostrato che è un ecumenismo che sta camminando bene. E la speranza è di arrivare, prima o poi, con la benedizione di Dio, anche a una unità vero, anche della mensa eucaristica.

D. – E’ stata particolarmente toccante la solidarietà, la condivisione espresse da Papa Francesco al popolo armeno, un popolo martire già da 100 anni, forse ancora da prima. Perché queste parole hanno colpito così tanto?

R. – Diciamo che la vicenda del popolo armeno è abbastanza impressionante, se uno la conosce, perché nella sua Storia è un popolo che ha vissuto molte difficoltà. E’ un popolo grande, numeroso, culturalmente ricco, ricco di tradizione, di fede che però anche per la sua collocazione geografica si è trovato spesso in mezzo a tensioni, conflitti e ha subito sofferenze terribili; c’è una diaspora grandissima del popolo armeno nel mondo, proprio come conseguenza di queste vicende, in particolare delle vicende della fine dell’Ottocento e poi dell’inizio del Novecento, in cui centinaia di migliaia di persone furono uccise e quelli che sopravvissero fuggirono, dovettero lasciare le loro case e andare ad abitare o essere accolti come rifugiati in vari altri Paesi del mondo. Quindi è un popolo che porta dentro di sé sofferenze profonde, ma che ha la fede cristiana come propria identità: infatti, è un popolo che si considera cristiano proprio fin nelle midolla, non riesce a concepirsi non cristiano – anche se poi evidentemente la pratica è un’altra cosa: la secolarizzazione può esserci anche per gli armeni … Ma l’identità nazionale, l’identità del popolo è molto connessa alla fede, e certamente tante di queste sofferenze sono state vissute come sofferenze nella fede, come martirio. Questo colpisce molto profondamente, dà una profondità di ammirazione, anche, per chi si avvicina a questo popolo e alle sue vicende, che è molto grande. Questo fatto della sofferenza di questo popolo è così profondamente inserito nella sua memoria – e in particolare quello della vicenda più orribile, che è quella di un secolo fa – che la commemorazione di questo genocidio, di questa tragedia che loro chiamano “Metz Yeghérn”, è un evento particolarmente importante. L’anno scorso il Papa ha fatto questa commemorazione con una celebrazione in San Pietro a cui hanno partecipato tutte le più alte autorità religiose e civili del popolo e della Chiesa armena: i due Catholicos, i Patriarchi armeni apostolici e il Patriarca armeno cattolico, e il presidente della Repubblica. Quindi, la memoria di questo fatto è parte essenziale della storia di questo popolo: domani mattina saremo al memoriale. E’ un po’ quello che è lo Yad Vashem del popolo ebraico. Non si può venire qui, non si può dimostrare attenzione per il popolo armeno senza rendere omaggio alla memoria del popolo sofferente, di quello che questa tragedia è stata. Ogni volta che questa tragedia viene evocata, viene evocata con partecipazione, viene evocata anche con chiarezza, gli armeni si sentono molto toccati, molto colpiti e ne sono molto grati. In questo senso, il fatto che oggi il Papa nel suo discorso ne abbia parlato in un modo estremamente chiaro, non solo, ma abbia poi anche aggiunto questa parola – genocidio – che nel testo preparato non era stata prevista, ha suscitato molta attenzione. Quello che è importante, però, è che si capisca che la memoria, in una prospettiva di fede cristiana, nella prospettiva del Papa, è una memoria per risanare le ferite, non per aprirle e per rinnovarle; ma ricordando il male, uno prende le lezioni della Storia, si converte dagli atteggiamenti errati e vede tutto quello che deve fare per costruire riconciliazione e pace nel futuro. Ecco, questa è la cosa importante e delicata, cioè: ricordare, sì, le ferite del passato, ma ricordarle per risanarle e superarle. Quello che Giovanni Paolo II chiamava “la purificazione della memoria”, quando lui ricordava le colpe o gli errori del passato, è quello che anche tutti i popoli devono vivere. Se si vuole costruire la pace, bisogna sapere che la pace è a rischio perché ci sono stati degli errori e possiamo commetterli di nuovo. E Papa Francesco ricorda non solo la tragedia degli armeni, ma ricorda che nel secolo scorso ce ne sono state tante altre: c’è stata la violenza del nazismo, c’è stata la violenza del regime sovietico, c’è stato il Rwanda in Africa, c’è stata la Bosnia nel Balcani … ce ne sono state tantissime, e continuano ad essercene! Allora, ricordiamo la sofferenza del passato per costruire pace per il futuro.

 








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