2016-06-24 06:04:00

Veglie di preghiera per migranti in Europa, 3 mila vittime nel 2016


“Morire di speranza”: si è pregato ieri sera in oltre 30 città italiane per ricordare le vittime dei viaggi verso l’Europa. A Roma la Veglia, alle 18.30 nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, è presieduta da mons. Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato. “Ogni viaggio - ha detto i presule - deve poter avere una meta: che sia in Italia o in altri Paesi, questa meta si chiama dignità. Non si può negare la dignità, non si può rifiutare la vita, non si può negare il futuro. Se non saremo capaci di offrire questa possibilità, noi stessi lo perderemo ed esauriremo le riserve di cultura e umanità del nostro continente”. Roberta Gisotti ha intervistato Daniela Pompei, responsabile Immigrazione della Comunità di Sant’Egidio, che ha promosso l’iniziativa, insieme ad altri enti e associazioni cristiane, tra cui la Federazione delle Chiese evangeliche.

Almeno 30 mila le vittime, dalla fine degli anni ’80, lungo le frontiere d’Europa, ma forse molte di più: nessuno sa quante persone abbia inghiottito il mare. Daniela Pompei: quali intenti in questa preghiera?

R. – Quello di far soffermare tante persone su questo dramma e anche non far dimenticare, non mandare nelll’oblio tante persone che hanno perso la vita in questi anni, e particolarmente negli ultimi due. Dalla fine del 2014-2015 e in questa prima metà del 2016, si stima che più di 10 mila persone siano morte nei cosiddetti ‘viaggi della speranza’. E la gran parte di esse è morta nel tratto di Mediterraneo che è davanti all’Italia.

D. – Oltre che sensibilizzare i fedeli e l’opinione pubblica, lancerete un appello?

R. – Sì noi, come Comunità di Sant’Egidio, insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche e alla Tavola Valdese, chiederemo a tutti i governi europei di aprire canali legali di ingresso, i corridoi umanitari. Questi garantiscono sicurezza ai profughi, che in questo modo sono tolti dalle mani dei trafficanti e dalla possibilità di morire in questi viaggi terribili. Ma allo stesso tempo garantiamo sicurezza ai cittadini europei, perché queste persone, prima di entrare, vengono tutte controllate.

D. – Nella pratica questi corridoi umanitari, secondo la vostra esperienza sul campo, come dovrebbero funzionare?

R. – Dai Paesi di transito, vicini ai Paesi di guerra sono individuate delle persone per i corridoi umanitari. Noi abbiamo iniziato dal Libano, che accoglie un milione e 200 mila profughi siriani, fuggiti dalla guerra. Si tratta di persone in situazioni di vulnerabilità: donne da sole con bambini, malati, nuclei familiari. Qui i visti vengono regolarmente chiesti al nostro Consolato italiano a Beirut. Finora sono arrivate 300 persone. Quindi, effettivamente, abbiamo voluto dire che è possibile far entrare in sicurezza. I governi lo possono fare, con uno strumento che non ha necessità di essere modificato dal punto di vista legislativo, perché è il Regolamento europei dei visti: l’art. 25 prevede la possibilità per ogni singolo Stato dell’Unione europea di rilasciare dei visti a territorialità limitata (VTL).

D. – L’importante è fermare assolutamente questo flusso incontrollato che porta morte ai migranti, e comunque impaurisce le popolazioni europee…

R. – È chiaro che adottare una politica comune europea, che sia una politica che privilegi gli ingressi regolari, garantisce tutti, e aiuta anche i cittadini europei a superare le paure.








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