Dopo la visita alla Cattedrale armena apostolica di Gyumri, dove ha incontrato un gruppo di rifugiati siriani, e alla vicina Cattedrale cattolica, Papa Francesco è tornato a Yerevan: qui, nella Piazza della Repubblica, si è svolto l’incontro ecumenico con la preghiera per la pace. Di seguito pubblichiamo il discorso del Papa:
Storia armena intrisa di sofferenza ma ricca di testimoni del Vangelo
Venerato e carissimo Fratello, Supremo Patriarca e
Catholicos di Tutti gli Armeni, Signor Presidente, cari fratelli e sorelle, la benedizione
e la pace di Dio siano con tutti voi! Ho tanto
desiderato visitare questa terra amata, il vostro Paese che per primo abbracciò la
fede cristiana. È una grazia per me trovarmi su queste alture, dove, sotto lo sguardo
del monte Ararat, anche il silenzio sembra parlarci; dove i khatchkar – le croci di pietra – raccontano
una storia unica, intrisa di fede rocciosa e di sofferenza immane, una storia ricca
di magnifici testimoni del Vangelo, di cui voi siete gli eredi. Sono venuto pellegrino
da Roma per incontrarvi e per esprimervi un sentimento che sale dalle profondità del
cuore: è l’affetto del vostro fratello, è l’abbraccio fraterno della Chiesa Cattolica
intera, che vi vuole bene e vi è vicina.
In cammino verso la pienezza della comunione eucaristica
Negli anni scorsi le visite e gli incontri tra le
nostre Chiese, sempre tanto cordiali e spesso memorabili, si sono, grazie a Dio, intensificati;
la Provvidenza vuole che, proprio nel giorno in cui qui si ricordano i santi Apostoli
di Cristo, siamo nuovamente insieme per rinforzare la comunione apostolica fra di
noi. Sono molto grato a Dio per la «reale ed intima unità» fra le nostre Chiese (cfr
Giovanni Paolo II, Celebrazione ecumenica, Yerevan, 26 settembre 2001: Insegnamenti XXIV, 2 [2001], 466) e vi
ringrazio per la vostra fedeltà al Vangelo, spesso eroica, che è un dono inestimabile
per tutti i cristiani. Il nostro ritrovarci non è uno scambio di idee, è uno scambio
di doni (cfr Id., Lett. enc. Ut unum sint, 28): raccogliamo quello che lo Spirito ha seminato in
noi, come un dono per ciascuno (cfr Esort. ap. Evangelii
gaudium, 246). Condividiamo con grande gioia
i tanti passi di un cammino comune già molto avanzato, e guardiamo davvero con fiducia
al giorno in cui, con l’aiuto di Dio, saremo uniti presso l’altare del sacrificio
di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica. Verso quella meta tanto desiderata
«siamo pellegrini, e peregriniamo insieme […] affidando il cuore al compagno di strada
senza sospetti, senza diffidenze» (ibid., 244).
Unità per donare al mondo, con coerenza, il Vangelo
In questo tragitto ci precedono e accompagnano molti
testimoni, in particolare i tanti martiri che hanno sigillato col sangue la comune
fede in Cristo: sono le nostre stelle in cielo, che risplendono su di noi e indicano
il cammino che ci resta da percorrere in terra, verso la comunione piena. Tra i grandi
Padri, vorrei riferirmi al santo Catholicos Nerses Shnorhali. Egli nutriva un amore
grande e straordinario nei confronti del suo popolo e delle sue tradizioni, ed era
al contempo proteso verso le altre Chiese, instancabile nella ricerca dell’unità,
desideroso di attuare la volontà di Cristo: che i credenti «siano una sola cosa» (Gv 17,21). L’unità
non è infatti un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse, ma quello
che Gesù ci chiede e che sta a noi adempiere con la buona volontà e con tutte le forze,
per realizzare la nostra missione: donare al mondo, con coerenza, il Vangelo.
Per l'unità è indispensabile la preghiera
Per realizzare la necessaria unità non basta, secondo
san Nerses, la buona volontà di qualcuno nella Chiesa: è indispensabile la preghiera
di tutti. È bello essere qui radunati per pregare gli uni per gli altri, gli uni con gli altri. Ed è anzitutto il dono della preghiera che io sono venuto
stasera a domandarvi. Da parte mia, vi assicuro che, nell’offrire il Pane e il Calice
all’altare, non manco di presentare al Signore la Chiesa di Armenia e il vostro caro
popolo.
Lasciare convincimenti rigidi e interessi propri in nome dell’amore
San Nerses avvertiva anche il bisogno di accrescere
l’amore reciproco, perché solo la carità è in grado di sanare la memoria e guarire
le ferite del passato: solo l’amore cancella i pregiudizi e permette di riconoscere
che l’apertura al fratello purifica e migliora le proprie convinzioni. Per quel santo
Catholicos, nel cammino verso l’unità è essenziale imitare lo stile dell’amore di
Cristo, che «da ricco che era» (2 Cor 8,9), «umiliò sé stesso» (Fil 2,8). Sul suo esempio, siamo chiamati
ad avere il coraggio di lasciare i convincimenti rigidi e gli interessi propri, in
nome dell’amore che si abbassa e si dona, in nome dell’amore umile: esso è l’olio benedetto della
vita cristiana, l’unguento spirituale prezioso che risana, fortifica e santifica.
«Alle mancanze suppliamo con carità unanime», scriveva san Nerses (Lettere del signore Nerses Shnorhali, Catholicos degli Armeni,
Venezia 1873, 316), e persino – faceva intendere – con una particolare dolcezza d’amore,
che ammorbidisca la durezza dei cuori dei cristiani, anch’essi non di rado ripiegati
su sé stessi e sui propri tornaconti. Non i calcoli e i vantaggi, ma l’amore umile
e generoso attira la misericordia del Padre, la benedizione di Cristo e l’abbondanza
dello Spirito Santo. Pregando e «amandoci intensamente, di vero cuore, gli uni gli
altri» (cfr 1 Pt 1,22), con umiltà e apertura d’animo disponiamoci a ricevere il dono divino
dell’unità. Proseguiamo il nostro cammino con determinazione, anzi corriamo verso
la piena comunione tra noi!
Violenze e persecuzioni in Medio Oriente
«Vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la
do a voi» (Gv
14,27). Abbiamo ascoltato queste parole del Vangelo, che ci dispongono a implorare
da Dio quella pace che il mondo tanto fatica a trovare. Quanto sono grandi oggi gli
ostacoli sulla via della pace, e quanto tragiche le conseguenze delle guerre! Penso
alle popolazioni costrette ad abbandonare tutto, in particolare in Medio Oriente,
dove tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione, a causa dell’odio
e di conflitti sempre fomentati dalla piaga della proliferazione e del commercio di
armi, dalla tentazione di ricorrere alla forza e dalla mancanza di rispetto per la
persona umana, specialmente per i deboli, per i poveri e per coloro che chiedono solo
una vita dignitosa.
Immane e folle sterminio di armeni
Non riesco a non pensare alle prove terribili che
il vostro popolo ha sperimentato: un secolo è appena passato dal “Grande Male” che
si è abbattuto sopra di voi. Questo «immane e folle sterminio» (Saluto all’inizio della Santa Messa per
i fedeli di rito armeno, 12 aprile 2015), questo tragico mistero di iniquità che il
vostro popolo ha provato nella sua carne, rimane impresso nella memoria e brucia nel
cuore. Voglio ribadire che le vostre sofferenze ci appartengono: «sono le sofferenze
delle membra del Corpo mistico di Cristo» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica in occasione del 1700° anniversario del Battesimo del Popolo
armeno: Insegnamenti
XXIV, 1 [2001], 275); ricordarle non è solo opportuno,
è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella
spirale di simili orrori!
Fede cristiana, vera forza degli armeni
Desidero, al tempo stesso, ricordare con ammirazione
come la fede cristiana, «anche nei momenti più tragici della storia armena, è stata
la molla propulsiva che ha segnato l’inizio della rinascita del popolo provato» (ibid., 276). Essa è
la vostra vera forza, che permette di aprirsi alla via misteriosa e salvifica della
Pasqua: le ferite rimaste aperte e causate dall’odio feroce e insensato, possono in
qualche modo conformarsi a quelle di Cristo risorto, a quelle ferite che gli furono
inferte e che porta ancora impresse nella sua carne. Egli le mostrò gloriose ai discepoli
la sera di Pasqua (cfr Gv 20,20): quelle terribili piaghe di dolore patite sulla croce, trasfigurate
dall’amore, sono divenute sorgenti di perdono e di pace. Così, anche il dolore più
grande, trasformato dalla potenza salvifica della Croce, di cui gli Armeni sono araldi
e testimoni, può diventare un seme di pace per il futuro.
Incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti
La memoria, attraversata dall’amore, diventa infatti
capace di incamminarsi per sentieri nuovi e sorprendenti, dove le trame di odio si
volgono in progetti di riconciliazione, dove si può sperare in un avvenire migliore
per tutti,
dove sono «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Farà bene a tutti impegnarsi per porre le basi di
un futuro che non si lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta; un futuro,
dove non ci si stanchi mai di creare le condizioni per la pace: un lavoro dignitoso
per tutti, la cura dei più bisognosi e la lotta senza tregua alla corruzione, che
va estirpata.
Riprenda cammino di riconciliazione tra armeni e turchi, pace nel Nagorno
Karabakh
Cari giovani, questo futuro vi appartiene: ma facendo
tesoro della grande saggezza dei vostri anziani, ambite a diventare costruttori di
pace: non notai dello status quo, ma promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione.
Dio benedica il vostro avvenire e «conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione
tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh» (Messaggio agli Armeni,
12 aprile 2015).
Armeni siano messaggeri di pace nel mondo
In quest’ottica vorrei infine evocare un altro grande
testimone e artefice della pace di Cristo, san Gregorio di Narek, che ho proclamato
Dottore della Chiesa. Egli potrebbe essere definito anche “Dottore della pace”. Così
ha scritto in quello straordinario Libro che mi piace pensare come la “costituzione spirituale del
popolo armeno”: «Ricordati, [Signore,…] di quelli che nella stirpe umana sono nostri
nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia. [...] Non sterminare
coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella
buona in me e in loro» (Libro delle Lamentazioni, 83,1-2). Narek, «partecipe profondamente consapevole di
ogni necessità» (ibid., 3,2), ha voluto persino identificarsi con i deboli e i peccatori di ogni
tempo e luogo, per intercedere a favore di tutti (cfr ibid., 31,3; 32,1; 47,2): si è fatto «l’offripreghiera
di tutto il mondo» (ibid., 28,2). Questa sua solidarietà universale con l’umanità è un grande messaggio
cristiano di pace, un grido accorato che implora misericordia per tutti. Gli Armeni,
presenti in tanti Paesi e che desidero da qui abbracciare fraternamente, siano messaggeri
di questo anelito di comunione. Il mondo intero
ha bisogno di questo vostro annuncio, ha bisogno della vostra presenza, ha bisogno
della vostra testimonianza più pura. Pace a
voi!
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