2016-06-25 12:43:00

Dopo Brexit rischio di disintegrazione dell'Ue


Terremoto sui mercati finanziari di tutto il mondo dopo l’esito del referendum nel Regno Unito che ha sancito il divorzio tra Londra e Bruxelles. Le Borse europee hanno chiuso in forte calo. Crollo anche della sterlina, che ieri ha toccato il livello più basso dal 1985. Oggi, intanto, si incontrano a Berlino i ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori dell’Unione Europea. Lunedì, sempre a Berlino, vertice italo-franco-tedesco. Amedeo Lomonaco:

Non si ripercuote solo nei mercati del Vecchio Continente lo shock dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ma anche negli Stati Uniti e in Asia dove le Borse hanno subito pesanti ribassi. Sul versante politico, il parlamento europeo chiede a Londra di formalizzare subito la sua decisione ma l’iter, per effetto anche delle dimissioni del premier Cameron, sarà lungo. Avanza inoltre il fronte antieuropeista, con i partiti di estrema destra di Francia e Olanda, in particolare, che chiedono il referendum anche nei loro Paesi. L’uscita de Regno Unito - ha detto comunque il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker - non è la fine dell’Unione Europea:

“Union of 27…
L'Unione europea dei 27 Stati membri continuerà. L'Unione è il quadro di riferimento del nostro futuro politico".

Anche il premier italiano Matteo Renzi ha rinnovato, infine, la sua fiducia nel progetto europeo:

"L’Europa è casa nostra. Lo diciamo oggi più che mai convinti, come siamo, che questa casa abbia bisogno di essere ristrutturata. Ma è la casa del nostro domani".

Dopo il referendum nel Regno Unito, c’è ora il rischio di una disintegrazione dell’Unione Europea? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto ad Adriana Cerretelli, editorialista del Sole 24 Ore a Bruxelles:

R. - Sicuramente c’è il rischio perché si è creato il precedente invocando per la prima volta l’Articolo 50 del Trattato che prevede la possibilità di chiedere l’uscita dall’Unione Europea. Ma proprio perché questo rischio c’è, ed è molto concreto - nessun Paese aveva mai chiesto di uscire dall’Unione - i capi di governo dell’Unione hanno intenzione di fare diga di fronte a questa possibilità. Dunque chiedono agli inglesi di notificare, quanto prima, la decisione referendaria e poi negozieranno solo la parte dell’uscita tecnica, ma non un rinegoziato che possa, in qualche modo, dare uno statuto speciale all’Inghilterra che esce.

D. - A questo punto il rischio che si paventa, quello della disintegrazione, impone politiche nuove. Questo in realtà può essere un’opportunità …

R. - Dovrebbe essere un’opportunità, però la forza dei movimenti populisti in ascesa dovunque, Germania compresa, e il fatto che l’anno prossimo ci siano elezioni in Olanda, Francia e Germania, creano una situazione per cui i governi saranno in parte paralizzati e non avranno – credo, temo – il coraggio di gesti coraggiosi, di salti in avanti nell’integrazione. Questo anche perché molti temono che un segnale di questo genere - che sarebbe in controtendenza rispetto agli umori popolari - potrebbe addirittura aggravare il sentimento anti europeo invece che placarlo. Il problema è la disintegrazione dell’Europa, ma anche l’esistenza di movimenti populisti e separatisti, più o meno diffusi nell’Unione, che si vogliono bloccare a tutti i costi. Si pensa soprattutto a Marine Le Pen in Francia, si pensi all’Olanda dove c’è l’altro movimento xenofobo ed antieuropeo di Wilders. Quindi la preoccupazione dell’Europa è fermare l’incendio.

D. - A proposito di incendio, uno dei pericoli è quello politico con il fronte anti europeista che avanza, l’altro è il baratro finanziario che si sta aprendo …

R. - Il problema non è tanto la Brexit, che ormai si è realizzata perlomeno nel voto degli inglesi, ma è il problema di “Euxit” – come lo chiamo io – nel senso che alcuni Paesi potrebbero seguire l’esempio inglese…

D. - L’iter dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è piuttosto lungo. Si parla di almeno due anni. Tempi che si sono allungati anche perché il premier Cameron si è dimesso e il nuovo primo ministro sarà eletto ad ottobre. Questo crea ulteriore incertezza …

R. - Allunga il periodo dell’incertezza, senza contare che comunque i negoziati di uscita saranno molto complicati; c’è chi dice che potranno durare anni ed anni, ben oltre i due anni previsti dal Trattato, se non altro proprio per disfare l’integrazione che si è creata in oltre 40 anni di permanenza nel Regno Unito in Europa.

D. - C’è poi la questione dei trattati, ad esempio quello transatlantico sul commercio e gli investimenti. Come evolverà la situazione da questo punto di vista? Ci sarà un’accelerazione o una frenata?

R. - Il Ttip è un trattato che già viaggiava in alto mare. La secessione inglese, a questo punto, entra come un dettaglio che certamente non aiuterà il negoziato, ma è un negoziato che ha già contro le pubbliche opinioni. D’altra parte, nemmeno negli Stati Uniti è un negoziato che raccoglie il consenso generale; quindi penso che l’obiettivo di concluderlo entro la fine dell’anno sia molto difficile da raggiungere se non quasi escluso. Forse in futuro chissà, ma nell’immediato, a prescindere dagli inglesi, il Ttip è in difficoltà.

D. - Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea cambiano anche gli assetti, gli equilibri. La Germania sarà ancora più forte?

R. - Sicuramente sì anche perché l’Inghilterra ha sempre avuto un ruolo di contrappeso, anche culturale, dentro l’Unione Europea con una cultura alternativa a quella che oggi domina e che è tutta tedesca. Mancherà anche questo pragmatismo inglese che ha sempre un po’ temperato le rigidità della cultura tedesca. L’Europa sarà più sbilanciata, quindi il rischio di un’egemonia tedesca è molto più grande e, soprattutto, c'è un rischio di reazione a questa egemonia, perché certamente un Paese da solo - lo ha detto lo stesso ministro delle finanze Shäuble - non può dominare l’Europa.

D. - Questa accresciuta instabilità sarà un prezzo in più da pagare per Italia e Spagna?

R. – Purtroppo sì e lo abbiamo già visto sui mercati. Nel caso dell’Italia è la questione dell’alto debito, nel caso della Spagna c’è il debito soprattutto il rischio di instabilità politica. È chiaro che i Paesi periferici a più alto debito sono quelli più colpiti.








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