2016-06-26 06:30:00

Droga, ne fanno uso in 250 milioni: meglio usare il proprio cervello


Circa il 5% della popolazione adulta, 250 milioni di persone tra i 15 e i 64 anni, ha usato almeno una droga nel 2014, stando ai dati dell'ultimo rapporto sulle droghe pubblicato dall'ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il crimine (Undoc). Oggi si celebra la Giornata internazionale contro il consumo e il traffico illecito della droga, indetta nel 1987 dall'Assemblea Generale, una Giornata per sensibilizzare ancora di più i giovani e fornire loro gli strumenti adeguati. Valentina Onori ne ha parlato con Antonio Boschini, medico e responsabile sanitario-terapeutico della comunità di San Patrignano, la comunità italiana per il recupero di tossicodipendenti che accoglie attualmente circa 1.260 persone:

R. – Quello che è importante è ribadire dei principi fondamentali: che la droga fa male e che la droga leggera non esiste. Noi vorremmo che il ragionamento si riportasse alla prevenzione dell’uso delle sostanze in generale e all’evidenza scientifica che dimostra che queste sostanze sono tutte quante dannose. Nel momento in cui una sostanza viene liberalizzata, legalizzata, è chiaro che un ragazzino dice: “Se è normale, se è legale, se la si può prendere, allora tanto male non fa”. Quello che noi cerchiamo di spiegare ai nostri ragazzi che vengono in comunità, ma anche nelle Campagne di prevenzione che facciamo nelle scuole, è che al di là del fatto che la droga fa male, è sbagliato il concetto di volere cambiare il proprio cervello per piacersi di più, per essere meno timidi, per essere più disinvolti in società. Perché è chiaro, infatti, che se uno accetta di usare qualcosa, per vincere le normali difficoltà che ogni adolescente incontra, se uno accetta questo compromesso con la propria coscienza, come entra la cannabis, dopo sei mesi entra la smart drug o la droga sintetica, e dopo due anni forse la cocaina e l’eroina. La cosa rivoluzionaria per un giovane è usare il proprio cervello, senza andare ad inquinarlo con sostanze. La cosa che deve gratificare la persona è riuscire a vincere la propria paura, le difficoltà, riuscire a superare tutto quello che nella vita una persona, in particolare un adolescente, incontra, ma con le sue forze, con la sue capacità, con il suo impegno, non con la scorciatoia della droga.

D. – Quanto è importante l’informazione e la prevenzione?

R. – L’informazione, purtroppo, non è molto importante. Sappiamo ormai da anni che fare un discorso in cui viene spiegato semplicemente l’effetto delle droghe, i danni delle droghe, non è sufficiente, anche perché annoia: il ragazzo vede il medico che gli va a parlare o l’ex drogato… Da diversi anni noi stiamo facendo una Campagna dal formato molto diverso. Abbiamo messo su degli spettacoli teatrali con dei veri e propri registi professionisti, in cui non si parla dell’esperienza della droga, ma si parla di quello che è avvenuto prima della droga. Si racconta la storia “normale” della persona - non di quando si drogava, ma dei problemi che incontrava prima di cominciare a drogarsi - in modo che, a livello emotivo, gli studenti si identifichino in maniera emozionale forte con la persona e non con il drogato, ma con quello che poi diventerà il drogato, e quindi riescano a percepire le cause che hanno spinto questo ragazzo prima a sperimentare e poi a diventare dipendente dalle sostanze. E’ un’informazione che gioca di anticipo. L’importante è che ci sia un coinvolgimento emotivo.

D. – Qual è il recupero della persona? Come si cancella la droga?

R. – La droga viene cancellata dalla persona stessa, nel momento in cui assapora forme di gratificazione più elevate. La droga ti dà una gratificazione chimica immediata, che non è legata a nessuno sforzo da parte tua, è gratuita. Per cui non esistono più piaceri, affetti, interessi, nulla. Il nostro percorso, e credo anche delle comunità in generale, è quello di insegnare, educare una persona a sperimentare, assaporare e a godere di livelli di gratificazione via via sempre più profondi. Poi ci sono gratificazioni che riguardano quelle in cui si comincia a provare piacere per un qualcosa che si fa non per se stessi, ma per un’altra persona: è il livello di maturazione più alto. Quando uno scopre quanto questo sia bello, secondo noi il suo percorso può dirsi veramente nella fase conclusiva.

D. – Qual è la sua gratificazione lavorando a San Patrignano?

R. – Quando vado a Messa, mi accorgo che quello che mi piace è guardare le facce degli altri ragazzi che sono a Messa nella nostra chiesa e sono molto concentrati. Io immagino che in quel momento stiano pensando a qualcosa di veramente molto profondo. Quello che, quindi, mi dà soddisfazione è vedere le persone che ogni giorno cercano di diventare persone migliori. Il nostro sacerdote fa delle omelie che, secondo me, sono veramente molto terapeutiche anche per un percorso di recupero dalla droga. Le due cose si fondono, non sono distinte.








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