2016-06-28 11:59:00

Falluja: più di 84 mila profughi in un mese. E' crisi apocalittica


I dati sono ancora incerti ma si tratta di un vero e proprio esodo quello che vede protagonisti migliaia di profughi dalle città assediate dell'Iraq. Cifre del Norwegian Refugee Council, la ong impegnata nel soccorso degli sfollati iracheni, riferisce di 62 mila persone nei campi dislocati nell'area intorno alle città assediate dal Califfato. 101 famiglie e 600 civili hanno raggiunto il campo di Amariyat Al Falluja, uno dei più popolosi, negli ultimi 2 giorni. Inoltre in una settimana circa 30 mila persone sono fuggite da Falluja, città liberata dall'esercito iracheno. La preoccupazione più grande riguarda l'annunciato combattimento contro Daesh nella città di Mosul che rischierebbe di far riversare in pieno deserto migliaia di civili in fuga. Sulla situazione vissuta direttamente nella provincia dell'Anbar parla Karl Schembri, responsabile dei media per il Medio Oriente per la ong NRC (Norwegian Refugee Council) a Baghdad, al microfono di Valentina Onori:

R. – Per noi è troppo prematuro parlare di ritorni per i civili che sono scappati da un inferno totale a Falluja; ed è troppo rischioso ormai ritornare, perché ci sono ancora le mine, gli esplosivi… Molti di loro sono impazienti;  stanno vivendo in condizioni miserabili nei Campi: avrebbero ragione a voler ritornare, ma ci vuole pazienza. Il nostro appello alle autorità irachene, e anche alla coalizione che sta combattendo il sedicente Stato islamico, è di essere responsabili, e di non fare nessuna pressione su queste famiglie prima di avere la garanzia che tutta Falluja sia un posto sicuro per potervi ritornare.

D. – A Baghdad ci sono stati degli attentati: com’è la situazione ora?

R. – La situazione a Baghdad riflette più o meno quella di tutto l’Iraq: è un Paese dove il conflitto è ormai, sfortunatamente, un problema endemico. Ancora prima di Falluja c’erano più di tre milioni di iracheni dispersi in tutto l’Iraq. Non si può fare una guerra contro Daesh – l’Is – e poi abbandonare i civili.

D. – Qual è il Campo profughi più grande intorno alla zona di Falluja e di Baghdad?

R. – Ci sono tre grandi siti di Campi profughi: si parla di più di 84mila profughi in sole quattro settimane. È una crisi apocalittica! Ma quello che adesso ci fa paura è quando si pensa a Mosul, la città dove ci sarà la prossima battaglia contro l’Is, in cui sono 80-100mila le persone che vivono in quella città. Lì sarebbe veramente una catastrofe senza una preparazione vera e propria da parte dell’Onu, da parte nostra come comunità umanitaria, ma anche in mancanza dei fondi della comunità internazionale per aiutare i civili.

D. – Quali sono le testimonianze che riportano queste famiglie – questi uomini, donne e bambini – dalle città assediate?

R. – È un vero e proprio inferno. Ho incontrato delle donne che mi dicevano di essere sotto l’attacco dei cecchini: non avevano cibo, mangiavano solo datteri e bevevano l’acqua del fiume Eufrate, che non è neanche potabile. E poi vedere questa gente lì, nei campi, in queste condizioni miserabili, è veramente – davvero – sconcertante!

D. – Riguardo all’Is che cosa raccontano?

R. – Ho parlato con dei bambini che mi dicevano che non andavano più a scuola perché ormai non aveva più senso, data tutta la propaganda islamica-militante svolta dall’Is nelle scuole. Ho incontrato una donna a cui un cecchino aveva sparato colpendo il suo bambino di meno di due anni. Quindi tragedie totali per questa gente e traumi che rimarranno per anni. Non abbiamo ancora cominciato a lavorare su questo. Per adesso li stiamo aiutando a restare vivi; ma ci vuole molto di più. Questa è una responsabilità di tutti: ci vorrebbe più leadership da parte dell’Onu, e anche un maggiore coordinamento nei campi. E invece è ancora tutto nel caos: ho visto gente collassare di fronte a me, in queste condizioni, in mezzo al deserto con una temperatura che raggiunge i 50 gradi, sotto al sole... Ci sono ancora migliaia di profughi senza tende, esposti quindi a tutte le difficoltà del deserto.

D. – Quanto pensi che ci sia una responsabilità dell’Occidente?

R. – L’Occidente ha prima di tutto una responsabilità storica nei confronti dell’Iraq per gli interventi passati che hanno cambiato totalmente il volto del Paese: non si può fare la guerra senza far sì che ci siano le risorse e i fondi per aiutare i civili. Si spendono miliardi in risorse militari per combattere l’Is, ma per aiutare i civili invece non si fa quasi niente.








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