2016-06-29 14:43:00

Brexit. Per Regno Unito possibile un modello Norvegia


Concluso oggi a Bruxelles il primo Consiglio Europeo senza il Regno Unito, dopo l’esito del referendum sulla Brexit. I capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri si sono riunitI per discutere sul futuro del progetto europeo. Sul tavolo anche la situazione finanziaria, con il cancelliere tedesco Angela Merkel che esclude nuova flessiblità per le banche. Il servizio di Michele Raviart:

Una situazione grave, uno shock, perché, come ha puntualizzato Angela Merkel, “è la prima volta che uno Stato membro decide di lasciare e non ci facciamo nessuna illusione”. Il primo Consiglio Europeo post Brexit rivela tutte le preoccupazioni dei leader europei che puntano ad una risposta di qualità per i cittadini. Promuovere crescita, competitività e occupazione per un progetto di riforma che culminerà nel marzo 2017, in occasione dei 60 del Trattato di Roma. Ribadito che ogni negoziato col Regno Unito comincerà solo dopo la richiesta formale di Londra di uscire e che non può esistere un mercato comune economico senza libertà di circolazione per le persone. Su nuove norme di flessibilità sulle banche, in riferimento alla situazione italiana, Merkel ha ribadito che “non si possono cambiare regole ogni due anni”. Intanto nel Regno Unito botta e risposta in parlamento tra il premier dimissionario Cameron e il leader laburista Corbyn, che  ha accusato il governo di aver creato centinaia di nuovi poveri, facendo del “leave” un voto “contro lo status quo”. Cameron ha replicato invitandolo a dimettersi dopo la mozione di sfiducia del suo partito.

 

Sui processi in corso che porteranno alla definitiva uscita del Regno Unito dall’Europa, Valentina Onori ha sentito Federiga Bindi, Cattedra Jean Monnet all’Università di Roma Tor Vergata:

R. – L’uscita è un fatto previsto e neanche traumatico, perché si parla dei due terzi dei voti. A confronto, per esempio, la maggioranza necessaria per la sospensione di un terzo è molto più alta. Quindi, è una cosa prevista: smettiamo di dire che questa è una cosa inaspettata, terribile, etc… E’ una cosa prevista. Due: gli inglesi hanno fatto un primo referendum 30 anni fa in cui hanno deciso di rimanere. Adesso, ne hanno fatto un secondo, che lo stesso primo ministro ha voluto fare per vincere le elezioni e non sempre le ciambelle riescono col buco. Il primo ministro ha perso il referendum.

D. – L’art. 50 prevede la recessione del rapporto, il divorzio di un Paese dall’Unione Europea. Quali sono i tempi?

R. – L’articolo prevede che il Paese notifichi al Consiglio Europeo la decisione di uscire e quindi ci vuole un atto formale da parte del governo britannico che notifichi la decisione di uscire e che il Paese esce non appena pronto o, in ogni caso, entro due anni. Quindi, potrebbe essere anche un mese: chiaramente un mese è impossibile, perché dal punto di vista tecnico ci sono tante decisioni da prendere. Il Consiglio eventualmente può decidere di allungare questi due anni. Sono tempi che potrebbe anche essere abbastanza brevi.

D. – Che tipo di rapporto si andrebbe a ricreare tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna con un nuovo premier?

R. – Il tipo di rapporto tra Inghilterra e Unione Europea è giusto quello di cui stanno discutendo. Ci sono degli esempi, se vogliamo: la Norvegia, che per ben due volte ha votato “no” a far parte della comunità europea, è rimasta parte dell’Efta, fondata dallo stesso Regno Unito nel ’61. Vorrei far notare: ha fatto parte del Mercato unico ed è direi – dal mio punto di vista – il più scomodo di tutti, perché loro subiscono tutto l’Acquis Communautaire (legislazione europea) e non ne hanno alcuna influenza. Io credo che per l’Inghilterra ci sarà una cosa simile. C’è una forte influenza dall’altra parte dell’Atlantico. I "think tank" americani e anche quelli americani presenti a Bruxelles sono terrorizzati dall’idea che il Regno Unito esca dall’Unione Europea, perché chiaramente verrà a mancare il loro "cavallo di Troia". C’è tutto un sistema di "think tank" e media americani che, a mio avviso, sta creando panico e disinformazione nel tentativo di spingere gli europei a non far uscire l’Inghilterra. Questo non è assolutamente fatto loro e dovrebbero rispettare la sovranità dell’Europa per una volta.

D. – Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha detto che il Brexit potrebbe non verificarsi…

R. – Sono delle dichiarazioni francamente irresponsabili. E questo perché quello che Kerry sta dicendo è che non è detto che quello che il popolo ha detto debba avere un seguito. Uno Stato sovrano non deve entrare negli affari domestici di un altro Stato sovrano, tanto più laddove c’è un voto: una nazione che ha portato il resto del mondo occidentale in guerra negli ultimi 15 anni nel nome della democrazia direi che è il più grosso controsenso e la più grossa ipocrisia che potesse venire fuori. L’affermazione di Kerry mostra tutta l’ambivalenza e l’ipocrisia delle varie amministrazioni americane nei riguardi del processo di integrazione europea.

D. – Quali potrebbero essere le conseguenze nel libero scambio di merci nei mercati europei?

R. – Più ci mettono a tirar fuori questo art. 50 e peggiori saranno le condizioni di negoziato per loro: quando gli Stati negoziano, la condizione principale per avere un buon negoziato è quella di creare un ambiente favorevole e amichevole tra chi negozia. Più il Regno Unito innervosisce gli ex-partner europei, più questi saranno meno disponibili a concedere quello che il Regno Unito vuole che gli venga concesso.

D. – Pensa che Junker mantenga il pugno duro?

R. – Io lo spero fortissimamente. Perché è l’unica cosa giusta da fare. Se noi non abbiamo il pugno di ferro con il Regno Unito, tutta una serie di Paesi euroscettici, a cominciare dalla Polonia, dice: “Io faccio un referendum, il referendum viene bocciato. A quel punto, questi mi pregheranno in ginocchio di rimanere e per farmi rimanere, mi danno quello che voglio!”. No, Non è cosi.

D. – Nel referendum della Gran Bretagna si è detto che le generazioni degli ultrasessantenni hanno scelto al posto dei giovani…

R. – Ma i giovani hanno lasciato che scegliessero per loro. Non sono andati a votare e i risultati si sono visti. Siccome il differenziale è di 4 punti: se i giovani fossero andati a votare, il risultato sarebbe stato differente. Non possono far altro che fare mea culpa.








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