2016-06-29 10:52:00

Sud Sudan: 40 morti e oltre 26 mila gli sfollati nel Wau


Nuova fiammata di violenza in Sud Sudan. Scontri si registrano tra le milizie dell’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese e altri gruppi armati nella regione del Wau. Secondo fonti locali 40 persone sono state uccise, migliaia sono in fuga per l’instabilità dell’area. Massimiliano Menichetti:

Migliaia di persone hanno lasciato tutto a causa delle violenze dalla regione del Wau, nella parte nordoccidentale del sud Sudan. Si uniranno agli oltre due milioni e cinquecentomila di profughi della guerra civile scoppiata nel 2013. Un conflitto politico nato tra il presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il suo ex rivale, Riek Machar, ora tornato alla carica di vicepresidente, accusato dal primo di aver tentato un golpe. Continui i tentativi di mediazione come la ripresa delle ostilità nonostante gli accordi di pace siglati nel 2015. Sul terreno intanto è lotta tra la poliedrica formazione dell’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese, le milizie Janjawid, l’esercito e una galassia di gruppuscoli e bande locali. In questo scenario la situazione umanitaria è al collasso. Mara Nuzzi, responsabile area Sud Sudan di Comitato Collaborazione Medica, ong presente nel Paese dal 1983:

R. – Gli incidenti sono scoppiati il 24 giugno. Ci sono stati diversi morti, ma quasi 26 mila persone sfollate interne, molte delle quali sono state messe al sicuro all’interno delle basi delle Nazioni Unite. Lì stanno ricevendo i primi aiuti umanitari.

D. – In questo caso, gli attacchi erano portati dall’Esercito di liberazione del popolo sudanese?

R. – In realtà, non solo. Molto spesso ci sono anche piccole bande di popolazione locale che hanno attaccato, lo abbiamo saputo, alcune macchine di operatori umanitari – non per fare del male agli operatori, perché non è mai successo nulla, però per rubare soldi o tutto quello che c’era nei veicoli. La situazione è abbastanza complessa. Sono state annullate tutte le attività: in una zona un po’ più a nord, c’è un’epidemia di morbillo che sta causando diversi problemi, per cui ci siamo messi d’accordo anche con il Ministero per intervenire. Ma tutto è rallentato, appunto, da questi scontri, dall’impossibilità di avere poi movimento sicuro sul terreno. E quindi, in realtà la situazione è abbastanza complessa. Attualmente, noi redigiamo quasi tutti i giorni dei bollettini sulla sicurezza nella zona: sembra sia leggermente più tranquilla, ma in realtà si riportano informazioni e dati di parecchi morti e ancora scontri sporadici, ad esempio, tra l’esercito governativo, che sta cercando di portare la situazione alla normalità, e la popolazione locale. Non c’è ancora luce verde da parte delle Nazioni Unite per i movimenti sul terreno.  Per quanto ne sappiamo noi, i voli umanitari tra le diverse parti del Paese ancora bloccati.

D. – Qual è la situazione globale della popolazione?

R. – Purtroppo, dal 2013, nonostante gli Accordi di pace firmati nell’agosto dell’anno scorso, la situazione in realtà non è migliorata di molto, anche perché le tensioni tra il presidente e il vicepresidente continuano, anche per la questione della nuova mappa amministrativa che vogliono proporre con la suddivisione di 28 Stati. Sono quasi un milione e 700 mila gli sfollati interni e 700 mila quelli che sono invece fuggiti nei Paesi limitrofi. Però sono quasi il doppio, sono quasi cinque milioni e 100 mila persone la popolazione che le Nazioni Unite calcolano nella sfera di bisogno di aiuto umanitario. La situazione umanitaria peggiora continuamente anche perché negli Stati al Nord del Paese ci sono tantissimi scontri tra le diverse fazioni, senza contare i normali scontri che avvengono in realtà all’interno della popolazione per il possesso o il furto delle vacche, che sono in realtà i motivi principali degli scontri etnici e di microcriminalità all’interno del Paese.

D. – In questo contesto, qual è la vostra attività?

R. – Il nostro appoggio va, attraverso il Ministero della salute, soprattutto nell’ambito sanitario, per cui noi siamo responsabili – chiaramente con il supporto dei donatori internazionali – della supervisione e della gestione dei pre-ospedali nelle diverse parti del Paese, 25 dispensari e otto centri di salute. Noi ci occupiamo della salute primaria della popolazione, sia sfollata che locale.

D. – Voi siete lì dal 1983: non vedete una via comunque per la stabilizzazione del Paese?

R. – Gli Accordi di pace avevano dato questa speranza, ma per un motivo o per un altro – soprattutto per questa insistenza da parte del presidente della suddivisione del Paese in 28 Stati – sta creando ancora  molta tensione. Sembra quasi un’operazione di suddivisione dello Stato a base mono-etnica, ma in realtà, in Sud Sudan esistono 60 etnie diverse. La mancanza di stabilità politica non porta ovviamente la possibilità di poter iniziare un discorso più ampio a livello economico e sociale, che giustamente darebbe un minimo di sollievo alla popolazione.

D. – Come ong, qual è il vostro allarme?

R. – Noi abbiamo bisogno di appoggio, come sempre. Noi abbiamo in mano il sistema sanitario del Sud Sudan che attualmente è finanziato al 95% dalla cooperazione internazionale. Però, noi stiamo vedendo che il supporto internazionale sta venendo meno ed è anche comprensibile Ma il Sud Sudan, dopo la Siria, è attualmente classificata come la seconda emergenza umanitaria al mondo.








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