2016-06-30 14:23:00

Brexit: Johnson non si candiderà premier per i conservatori


Un terremoto politico quello che si presenta nel dopo Brexit fuori e dentro il Regno Unito. Era dato per certo come il candidato alla successione del premier David Cameron e invece Boris Johnson, l’ex sindaco di Londra e voce dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ha fatto marcia indietro, ritirando la propria candidatura alla leadership dei Tory. In lizza restano in cinque: il ministro della giustizia Michael Gove, alleato di Johnson nella campagna referendaria pro-Brexit, il ministro dell’interno Theresa May, il ministro dell'Energia, Andrea Leadsom, l'ex ministro della Difesa e notorio euroscettico Liam Fox e il collega al Lavoro, Stephen Crabb. Il nuovo candidato premier britannico si conoscerà il 9 settembre quando 150 mila membri del partito conservatore dovranno scegliere tra i due finalisti designati dai deputati Tory. Da Bruxelles la linea, intanto, è perentoria: "L'articolo 50 del trattato di Lisbona è l'unico modo per avviare il processo di uscita del Paese e solamente il governo britannico può notificarlo". Queste le parole del portavoce della Commissione, Margaritis Schinas. L’uscita della Gran Bretagna e il futuro dell’Unione Europea saranno i temi al centro del vertice informale che si terrà a Bratislava il prossimo 16 e 17 settembre, in un momento delicato poiché anche in Slovacchia il partito di destra ha avviato la raccolta delle firme per la convocazione di un referendum sull’uscita del paese dall’Europa. Fatti, questi, che sembrano aver imposto un completo ripensamento nelle politiche europee. Su questo Valentina Onori ha intervistato Franco Rizzi, docente e segretario generale Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo):

R. – L’Europa era divisa già prima della Brexit. C’erano delle opposizioni a causa dell’arrivo dei rifugiati, dei migranti che ha determinato una serie di scollature, contraddizioni che erano probabilmente coperte da un discorso politico ideologico che nessuno è mai riuscito effettivamente ad affrontare. Il discorso della Brexit è un caso molto particolare. Siamo arrivati a questo punto anche per una insipienza da parte di una classe politica. Cameron ha sbagliato i suoi calcoli e lo ha fatto sulla testa degli inglesi.

D. - Ieri ha chiesto le dimissioni di Corbyn, leader del Partito Laburista. C’è anche una divisione politica all’interno della Gran Bretagna …

R. - La Gran Bretagna sta correndo un grosso rischio, perché se la Scozia va via, diventa un piccolo Paese: dietro non c’è più il Commonwealth. Quelli che hanno sostenuto il “Leave”, hanno votato pensando che avessero ancora tutto questo passato nelle loro mani. Di fatto non è così: in una globalizzazione in cui ci sono Stati emergenti e affermati come il Brasile, l’India, la Cina, l’America, non possono continuare a pensare come se avessero ancora il grande Impero. Rimane il fatto che l’Inghilterra ha scelto di andare fuori. Non può continuare ad avere questo atteggiamento come a dire: “Sì sono fuori, però ho una serie di privilegi come se rimanessi dentro”. La politica inglese non ha capito, in effetti, che i privilegi che aveva l’Inghilterra non erano pochi.

D. - Dovrebbero esserci delle modifiche alle politiche dell’Unione Europea?

R. - Non è un problema di aggiustamento con delle misure tecniche. Qui il discorso da ripensare è molto più profondo, ma questo aldilà della Brexit. Noi abbiamo vissuto pensando che avevamo una serie di valori: accoglienza, libertà, generosità, l’Europa che non fa più guerre. Sono bastati uomini e donne arrivati, non per fare la guerra, ma per poter trovare un posticino per vivere, perché tutta questa costruzione entrasse in crisi. Questa è la generosità dell’Europa?

D. - Che differenza c’è tra l’Europa di oggi e quella ideata da Altiero Spinelli?

R. - L’Europa di oggi è quella dei mercati, quella delle finanze. Non porta avanti una politica contro la disuguaglianza. Il problema è che tutto questo si compone con una paura ancestrale del diverso; è solamente politica! Smontare l’ideologia di una visione del mondo che passa attraverso la paura è molto più difficile che smontare la Brexit che è un fatto anche tecnico. Spinelli l’aveva pensata diversamente; l’aveva pensata come un’Europa più federale, aperta e generosa. La classe politica che questa Europa esprime non è certo delle migliori, non è certo una classe politica lungimirante.

D. - Il partito di destra slovacco questa settimana avvierà la raccolta firme per il referendum sull’uscita del Paese dall’Unione Europea …

R. – L’euforia a volte è sinonimo di follia. Sono stati d’animo, pulsioni che devono essere filtrati poi con la realtà che è molto diversa.

D. - Però uno strappo c’è stato …

R. –  Questa Europa va fatta come si deve, non perché ce l’ha ordinato il dottore. Oggi come oggi a causa di tutto quello che è accaduto è possibile anche che da questa situazione di crisi nasca una riflessione diversa sul modo con il quale organizzare questa Europa.

D. - Subito dopo il vertice dei 27 di ieri tra Merkel e Renzi c’è stato un terreno di scontro: la Merkel ha detto che non si possono cambiare le regole ogni due anni sulle banche e che la flessibilità ha un limite …

R. - Questa uniformità concettuale, questa uniformità di comportamento, qualsiasi sia la situazione, trovo che sia un atteggiamento astratto rispetto alla realtà. Bisogna tenere presente che si sta vivendo una situazione di crisi. Con questa regola loro pensano di aver messo a posto l’animo delle persone, le preoccupazioni, le angosce, mentre esistono delle cose che devono essere considerate indipendentemente dalle regole. Ci sono molti scollamenti, non solamente questo. Bisogna però avere paura del fatto che lo scollamento non sia affrontato. Se non è affrontato è perché la classe politica fugge. E questo è grave! 








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