2016-06-30 10:38:00

Francesco: è la famiglia che soffre di più per la mancanza del lavoro


Durante l’udienza giubilare di oggi il Papa ha salutato i Consulenti del Lavoro che oggi hanno aperto il 7° Festival del Lavoro. Francesco li ha incoraggiati a “promuovere la cultura del lavoro che assicura la dignità della persona e il bene comune della società”. Alessandro Guarasci:

Il Papa richiama la necessità di un lavoro che dia certezze, soprattutto alla famiglia. “E’ proprio la famiglia, infatti - dice Francesco - a soffrire di più per le conseguenze di un cattivo lavoro: cattivo per la sua scarsità e per la sua precarietà”:

"Voi, consulenti del lavoro, non avete un compito assistenziale, ma promozionale, affinché in ambito nazionale ed europeo le istituzioni e gli attori economici perseguano in modo concertato l’obiettivo della piena e dignitosa occupazione, perché il lavoro dà dignità".

I Consulenti del Lavoro oggi aprono il loro settimo Festival e anche secondo loro è necessario conciliare di più i tempi del lavoro e della famiglia. Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro:

R. – Nel momento in cui non abbiamo una serie di strumenti che poi sono i servizi di sostegno alla persona e alla famiglia diventa difficile, soprattutto per le madri, potersi dedicare all’attività lavorativa. Vediamo questo anche all’interno di un lavoro che come Consiglio nazionale abbiamo promosso attraverso un libro che si chiama “La fatica nelle mani”, che ha come obiettivo quello di mettere in evidenza quanto invece oggi la crisi della famiglia possa tradursi negativamente anche in crisi nel mondo del lavoro e viceversa. Se il capofamiglia perde il lavoro si perde anche quella condizione di stabilità su cui invece puntano anche le nuove generazioni di figli. Quindi un welfare della famiglia, un’attenzione a creare dei servizi di sostegno alla famiglia, favorendo anche delle politiche di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, è assolutamente indispensabile.

D. - Siamo in presenza di una ripresa che non porta lavoro, almeno questo principalmente in Europa. Che cosa sta succedendo secondo lei?

R. - Noi da tempo diciamo che le riforme in materia di lavoro, cioè le buone norme, certamente accompagnano una ripresa dell’occupazione, ma non possono essere assolutamente stravolgenti rispetto a quelli che sono i dati tendenziali. Una buona norma da sola non fa lavoro se non è calata in un contesto all’interno del quale invece c’è tutta un’altra serie di provvedimenti a sostegno dell’economia e anche della riduzione della contrazione dei costi del lavoro. Il costo del lavoro in Italia è comunque una delle componenti più critiche, visto e considerato che quello che è il differenziale, quello che si chiama “cuneo fiscale contributivo” è tra i più alti in Europa. Un lavoratore italiano per percepire mille euro in busta paga costa all’azienda il 115 percento in più. Abbiamo anche osservato nell’ultimo anno quanto gli sgravi che erano collegati alla legge di stabilità 2015 abbiano contribuito ad aumentare il numero di contratti a tempo indeterminato. Quegli sgravi hanno fatto di più rispetto a quelle norme come il contratto a tutele crescenti che è stato presentato come la risoluzione per la problematica della flessibilità in uscita.

D. - Secondo lei ad oggi in Italia c’è troppa flessibilità? Vediamo che anche in Francia le proteste si stanno concentrando su questo aspetto …

R. - In Francia poi si va a concretizzare un percorso che noi abbiamo vissuto nel corso del 2015, cioè il tabù dell’articolo 18 e quindi la preoccupazione, soprattutto per i lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti, di perdere stabilità a causa della nuova norma sulle tutele crescenti. Penso che l’azienda abbia bisogno di flessibilità; certamente non di flessibilità cattiva, cioè quella che va oltre il confine delle norme e soprattutto dell’etica del lavoro. Abbiamo bisogno sicuramente di creare un tessuto imprenditoriale di qualità e soprattutto dobbiamo accompagnare le imprese a risparmiare non solo in termini di costo del lavoro, ma di valore dell’attività lavorativa, nel senso che se riusciamo ad ottimizzare le risorse, a formare i lavoratori, a riqualificarli per le nuove attività lavorative, questo vale per l’impresa molto più della libertà di poter recedere da un rapporto d i lavoro se c’è necessità di licenziare. L’azienda preferisce avere personale qualificato su cui investire.








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