2016-07-02 15:30:00

In un volume l'impegno anti-mafia della Chiesa calabrese


“La ‘ndrangheta è l’antievangelo”: si intitola così il volume pubblicato in questi giorni da Tau Editrice che raccoglie molti dei documenti e pronunciamenti delle Chiese di Calabria in materia di contrasto alla criminalità organizzata, negli ultimi cento anni.  Nella presentazione, mons. Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra e arcivescovo di Catanzaro-Squillace, attesta che le Chiese calabresi hanno camminato tra la gente, in una terra bella e amara, cercando insieme di “individuare percorsi coraggiosi per una purificazione della religiosità”. E ancora l'arcivescovo scrive: “Là dove la priovra della criminalità organizzata attecchisce e miete ancora vittime, la Chiesa dichiara di possedere l’antidoto al veleno mafioso, convinta che non basti denunciare, prevenire, punire, ma che occorra annunciare da capo il Vangelo…”. Ma sentiamo lo stesso mons. Bertolone intervistato da Federico Piana:

R. – Gli uomini o le donne di mafia, di camorra o di ‘nrangheta affiliati a queste organizzazione malavitose si collocano fuori dalla Chiesa, ma spesso continuano a partecipare alla vita delle comunità cristiana a livello di religiosità, a livello di devozione popolare, chiedono di fungere da padrini o da madrine, chiedono i sacramenti per i propri figli. In questo senso, essi scimmiottano la vera fede e quindi sono come un veleno, una zizzania nel campo del buon grano che rappresenta la Chiesa. Il buon grano non può fare da eco o da cassa di risonanza di un modo di fare pagano anche se si ammanta di pensieri biblici o del comparaggio nei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Bisogna perciò chiedersi il motivo della coesistenza della mala pianta, della zizzania appunto, cioè della criminalità organizzata nelle sue varie forme e metamorfosi con il buon grano. In questo modo la Chiesa aiuta il cristiano a non fare mai eco alle pretese e alle richieste mafiose, smascherandone piuttosto la pseudoreligiosità e l’agire pagano, senza invadere il campo specifico della prevenzione e della repressione penale dei responsabili dei delitti di mafia.

D. - Dalla Chiesa del silenzio si è arrivati alla Chiesa che parla, che interpella e che denuncia. Questo lo possiamo vedere in questo libro che parla chiaro

R. - Cento anni di documenti: quella che fino alla svolta del Concilio Ecumenico Vaticano II veniva da molti ancora definita “la Chiesa del silenzio” di fronte a certi fenomeni criminali, è diventata la Chiesa che parla, che invita al rispetto della legge degli uomini e di Dio; invita alla vita buona del Vangelo. Ricordo solo due memorabili testi: quello dell’89 che sollecitava tutti a riorganizzare la speranza e quello del ’91 “Educare alla legalità”, un documento bellissimo, forte, significativo; era un grido d’allarme per l’Italia e, di lì a poco, Tangentopoli avrebbe dimostrato la bontà di quel documento.

D. - Un cammino quello della Chiesa calabrese fatto di vera lotta per una terra bella e amara …

R. - È di esattamente cento anni fa quella Lettera pastorale collettiva dei vescovi calabresi per la Quaresima del 1916, dove in embrione ma con chiarezza si pongono già le basi per una catechesi di purificazione della pietà popolare. Tra i punti deboli venivano significativamente indicati le processioni, il ruolo dei padrini, la scarsa formazione del clero, debolezze che i vescovi individueranno nei documenti successivi nei quali gradualmente, ma sempre con più chiarezza, prendono pubblicamente le distanze dalla degenerazione, soprattutto da ciò che era connotato come fenomeno di tipo mafioso e criminale. L’azione pastorale corale dei vescovi, la presa di posizione pubblica della Conferenza episcopale calabra, ma anche quella dei singoli presuli nelle diocesi, apriva nuove strade insieme alla denuncia, all’esame del fenomeno, all’impegno di arginare la criminalità battendo le vie preventive dell’educazione e della formazione, soprattutto quella testimonianza cristiana personale e comunitaria. È interessante vedere come la storia di questo impegno ci fa assistere ad un vero e proprio magistero sociale di lotta e di purificazione dei vescovi calabresi. Ritengo che tanto è stato scritto e fatto, ma molto resta da fare. Per esempio, c’è da lavorare molto sulle confraternite: per formare i seminaristi, la Conferenza episcopale calabra ha istituito dei corsi di formazione per il clero, per i fedeli. E tutto ciò per avere uomini che siano autentici testimoni di Cristo, cioè credenti, coerenti, credibili.

Sul volume “La ’ndrangheta è l’antievangelo”, Adriana Masotti ha intervistato don Giovanni Scarpino, direttore regionale dell’ufficio Comunicazioni sociali e cultura della Conferenza episcopale della Calabria, tra i curatori del testo:

R. – Guardi, si tratta di un’antologia … Siamo partiti dal 1916 per rileggere come negli ultimi 100 anni la Conferenza episcopale calabra si sia espressa sulla ‘ndrangheta, contro la 'ndrangheta e contro tutto ciò che ostacola l’annuncio del Vangelo. E proprio in questi ultimi tempi, soprattutto in questi ultimi decenni, è un tema ancor più acceso. Anche in merito ad alcuni eventi accaduti in Calabria, i vescovi hanno dovuto prendere la parola in modo forte, da pastori, per aiutare il popolo a discernere ciò che è vicino al Vangelo da ciò che è lontano dal Vangelo.

D. – E infatti, già il titolo dice molto: “La ‘ndrangheta è l’antievangelo”. C’è stato un percorso, immagino, per arrivare a questa denuncia così forte …

R. – Certamente. Diciamo che il sistema criminale c’è sempre stato, in Calabria: parliamo dall’epoca del brigantaggio fino a oggi. Però, in quest’ultimo secolo questi documenti sono proprio un pronunciamento ufficiale della Chiesa calabrese dinanzi al fenomeno mafioso-‘ndranghetista, che cerca in ogni momento di ottenere consensi, riconoscimenti pubblici, servendosi anche a volte delle realtà ecclesiali, come le processioni e le tradizioni popolari. Quindi i vescovi si sono pronunciati ufficialmente in tante occasioni, e il volume si apre proprio con la prima lettera pastorale della Quaresima del 1916, dove, in embrione ma con chiarezza, si pongono le basi per una purificazione della pietà popolare. L’azione dei vescovi è proprio questa presa di posizione pubblica, ma anche nelle singole diocesi, un insieme di denunce sull’esame del fenomeno ‘ndranghetista. Quindi l’impegno di arginare la criminalità, battendo le vie educative e soprattutto quelle della testimonianza cristiana, personale e comunitaria. In questi documenti emerge il magistero sociale dell’episcopato calabro, che ha trovato – soprattutto nella Settimana sociale delle Chiese in Calabria nel 2006, e anche nei convegni ecclesiali – il culmine di una riflessione avviata già da decenni; una riflessione partecipata, condivisa. Quindi, una sola voce – della Conferenza episcopale – contro questa realtà triste e amara.

D. – Si può dire che si raccolgono già alcuni frutti di questa maggiore consapevolezza, di questa denuncia, di questa sensibilizzazione?

R. – Io penso di sì. Se noi pensiamo che una regione ecclesiastica ha prodotto un Direttorio su come gestire anche la pietà popolare, tutti questi eventi, soprattutto radicati al Sud, è proprio questa ricerca e questa volontà di camminare insieme in un’unica Chiesa, quella di Cristo: penso che questo sia un prezioso contributo nella lotta contro la mafia.

D. – Nelle diocesi calabresi sono nate anche iniziative di educazione con i giovani o di utilizzazione di beni confiscati alla mafia?

R. – Guardi, tanto è l’impegno delle singole diocesi! I vescovi calabresi, soprattutto nella fascia del reggino, nella parte jonica, hanno costituito tante realtà educative, che soprattutto aiutano alla testimonianza cristiana: che sia il lavoro, che sia la formazione, hanno creato delle vere e proprie strutture di educazione alla fede, proprio per inculturare la fede in quei luoghi dove forse o non c’era mai stata, oppure è stata smarrita. Frutto, anche, di tutto questo lavoro è il corso che hanno pensato per i futuri presbiteri di Calabria: in tutti gli istituti teologici regionali viene messo in luce ai futuri presbiteri un esame su questo fenomeno, proprio riguardo al’impegno di arginare la criminalità battendo le vie educative, soprattutto quelle della testimonianza.








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