“Mentre siamo in attesa di conoscere il lavoro della Commissione del Ministero circa la proposta di linee guida sull’articolo 1 comma 16 della legge cosiddetta ‘buona scuola’, relative all’attivazione di percorsi educativi di lotta alla ‘discriminazione per orientamento di genere’, confermiamo la ferma volontà delle nostre famiglie a collaborare solo se ci sarà chiarezza assoluta dei contenuti”, così Massimo Gandolfini, presidente del comitato “Difendiamo i nostri figli” torna ad esprimere in un comunicato stampa ripreso dall'agenzia Sir, le preoccupazioni delle famiglie che hanno partecipato ai Family Day.
No a percorsi educativi che educhino alla libera scelta dell’identità di
genere
“Il contrasto ad ogni forma di violenza, culturale, verbale o fisica, rivolta verso
chiunque – prosegue Gandolfini – è un caposaldo indiscutibile di una società civile,
chiaramente espresso dalla nostra Costituzione. L’educazione scolastica deve muoversi
in questa direzione”. Per il presidente del Comitato promotore del Family Day “non
è ammissibile che, utilizzando questo nobile scopo, si propongano percorsi educativi
che educhino alla libera scelta dell’identità di genere, come accaduto nel 2013 con
la scandalosa strategia Unar – Associazioni Lgbt”.
La discriminazione colpisce anche disabili, immigrati, bimbi obesi
“L’Unar torni a fare il suo mestiere – scrive Gandolfini – e ci fornisca dati certi
sulla discriminazione di cui sono vittime i disabili, gli immigrati, i bimbi obesi,
dichiarando altresì, come rilevato da Oscad, che in Italia la piaga del bullismo omofobico
è fortunatamente quasi irrilevante”. “Nel rinnovare la nostra assoluta fiducia nel
lavoro che vedrà Fonags come importante interlocutore – conclude Gandolfini – , vogliamo
ricordare il momento delicato che il mondo educativo sta vivendo, considerato che
sono già state depositate in Parlamento ben otto proposte di legge per l’introduzione
dell’educazione sentimentale nelle scuole italiane. L’assoluta centralità del diritto
di scelta dei genitori e l’assunto culturale che nel nostro Paese ‘genere’ significa
‘sesso’ – quindi, due generi, due sessi – devono tradursi nell’adozione di strumenti
procedurali concreti, che abbiamo già proposto al Miur”. (R.P.)
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