2016-07-06 23:59:00

Vatileaks. Zannotti: non è un processo contro la libertà di stampa


“Non è un processo alla libertà di stampa”. Così il Promotore di Giustizia aggiunto, Zannotti, nella replica alle arringhe conclusive nel processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Gli avvocati di Maio, Fittipaldi e Nuzzi hanno chiesto l’assoluzione per i propri assistiti, contestando tutti i capi d’accusa. Assente alla XX udienza Francesca Immacolata Chaouqui, presente insieme agli altri imputati mons. Vallejo, Nuzzi è arrivato in ritardo. Nella mattina di giovedì 7 luglio, come conferma la nota della Sala Stampa Vaticana, le eventuali dichiarazioni spontanee, poi la Camera di Consiglio e la sentenza. Massimiliano Menichetti

La XX udienza è di pomeriggio. L’avvocato di Nicola Maio, Rita Claudia Baffioni, inizia l’arringa conclusiva ribadendo che “l’accusa non ha provato la fondatezza dei reati contestati” e che sin dal “decreto di rinvio a giudizio” la domanda che si è posta è stata “cosa c’entri Maio in questo processo”.

Il caso Abbondi 
Anche lei, come l’avvocato Sgrò, si chiede perché mons. Abbondi, Capo Ufficio della Prefettura degli Affari Economici, non sia seduto tra gli imputati, poiché è stato “sempre indicato dai testi elemento del gruppo ristretto insieme a Mons. Vallejo, Chaouqui e Maio”. “Mons. Abbondi - sottolinea - è colui che fotocopia i tanti documenti in Prefettura”. Baffioni ipotizza - quasi ironicamente - un errore di persona da parte dell’Ufficio del Promotore di Giustizia.

La dichiarazione di Chaouqui
Giustifica la presenza del suo assistito al processo con il fatto che “la Chaouqui disse che lui aveva sottratto dei documenti”, ma aggiunge che “lei in seguito ritrattò” attribuendo la responsabilità a mons. Vallejo. Afferma poi che, come confermato da Nuzzi e Fittipaldi, Maio non conosceva i due giornalisti. E che nel materiale probatorio “non c’è un solo messaggio WhatsApp attribuibile" al suo "assistito”.

Disponibilità di alcuni documenti
Ricorda al Tribunale che l’imputato ha collaborato sia con Cosea sia con la Segreteria dell’Economia e che in ragione dell’incarico aveva la disponibilità di alcuni documenti. “Era del tutto normale - prosegue – mostrarli”, su richiesta, “a mons. Vallejo che era Segretario di Cosea e della Prefettura Affari Economici”, quindi suo superiore.

Dimissioni di Maio
L’ex Segretario esecutivo si dimette a dicembre 2014, perché - afferma Baffioni – disapprovava attività “collaterali”, “para-vaticane”, "diverse da quelle istituzionali” proposte da Chaouqui e mons. Vallejo. “Non un pentimento come interpretato dal promotore di giustizia rispetto ad un progetto criminale” - precisa - ma, semplicemente “non trovava opportune le attività extra”: come essere coinvolto nell’associazione Messaggeri della Pace o altre iniziative del genere. Maio andò via - sostiene l’avvocato - anche perché mons. Vallejo era cambiato, “abusava del proprio ruolo”.

Testimonianze della Prefettura
“Nessuno ha parlato male di Maio” - incalza Baffioni – riferendosi alle deposizioni del personale della Prefettura. “Anzi veniva notato per gentilezza ed educazione”. Cita l’episodio del timbro, poi ritrovato nell’ufficio di mons. Vallejo, per ribadire che fu “legittimamente” consegnato a Maio dalla scrupolosa Pellegrino. L’ex Segretario esecutivo – spiega il legale – è estraneo anche all’attività di frenetica copiatura, effettuata in Prefettura nell’estate 2015, perché Maio si era dimesso da mesi. Evidenzia poi la contraddittorietà delle testimonianze sul “gruppo ristretto”: “Hanno parlato di impressione complottistica - dice - affermando contemporaneamente che Maio, Chaouqui, mons. Abbondi e mons. Vallejo erano legittimati a vedersi”.

I documenti consegnati da mons. Vallejo
Mons. Vallejo - rimarca Baffioni - ha ammesso “di non aver informato nessuno della sua intenzione di dare i documenti ai giornalisti”. Il “disegno criminoso nel prelato - prosegue - si forma in aprile\maggio 2015”, “periodo in cui parte il progetto editoriale di Nuzzi”. Maio non c’era.

Scriminanti
Due le scriminanti: “Maio - dice Baffioni - non poteva sindacare gli ordini dei superiori”, nel momento in cui non rintracciava violazioni e in alcun modo “poteva anticipare la visione del reato che mons. Vallejo avrebbe commesso”. L’avvocato chiede quindi per Nicola Maio - in prima istanza - l’assoluzione dal reato di associazione criminale, perché il fatto non sussiste e l’imputato non lo ha commesso, e dai reati di divulgazione e di concorso perché l’imputato non li ha commessi e non vi ha concorso. In subordine invoca l’assoluzione per insufficienza di prove da tutti i reati imputati e – in estremo subordine – il minimo della pena, con le attenuanti e i benefici di legge.

L’avvocato Roberto Palombi
L’assoluzione per Gianluigi Nuzzi la chiede l’avvocato Roberto Palombi che nella sua arringa invoca il “difetto di competenza del Tribunale per carenza di giurisdizione”. Ricorda il “caso di Paolo Gabriele” e che “in quell’occasione i magistrati esclusero il coinvolgimento di Nuzzi (autore del libro Sua Santità) poiché il reato non era stato commesso nello Stato vaticano”. Esclude anche che lo “spazio virtuale” di internet, utilizzato dai Nuzzi e mons. Vallejo per scambi e comunicazioni, possa riportare l’imputato dentro le mura leonine.

Diritto di cronaca
Rinviato a giudizio – secondo l’avvocato – c’è “un cittadino italiano che ha semplicemente esercitato il diritto di cronaca, che non ha messo a repentaglio la pace e la sicurezza dello Stato vaticano”. Cita più volte la deposizione di Mieli e afferma che “sicurezza e segretezza non sempre devono coincidere”.

Processo kafkiano
Palombi parla di un “castello accusatorio di assoluta inconsistenza” e di come sia stata disegnata una “sorta di associazione a delinquere di stampo giornalistico”. Definisce il processo “kafkiano”, "paradossale" e ricorda che Nuzzi non ha mai incontrato Maio e non conosceva Fittipaldi, cita in proposito la deposizione di Mieli. “I libri dei due giornalisti - aggiunge - erano concorrenti”.  Sui rapporti con Chaouqui conferma che era “solo un contatto” e che nel tempo ha definito la donna “millantatrice”, “inaffidabile” e “bipolare”.

Trame siderali
Per l’avvocato di Nuzzi nelle testimonianze del personale della Prefettura ci sono “trame siderali” come la deposizione di Fralleoni, che dice di sentirsi spiato, o la contraddittoria testimonianza della Pellegrino sul timbro Sub Secreto Pontificio. Torna sul Vatican Asset Management che Chaouqui avrebbe dato a Nuzzi in formato Word e afferma che “non c’è traccia di questo documento”, che “non si è mai visto” e che l’imputato nel libro “Via Crucis” lo pubblica in formato PowerPoint. In relazione al Vam, Palombi parla di “reato impossibile” e di “segreto di pulcinella”.

Rischio per la sentenza
L’avvocato rileva che il capo d’accusa iniziale mirava ad accertare la  “pressione, sollecitazione e istigazione” da parte dei giornalisti per ottenere documenti, ma che il Promotore di giustizia nella sua requisitoria ha spostato l’asse dell’accusa al “rafforzamento” nel compiere il reato, dato dalla presenza dei cronisti. E questo secondo Palombi mette a “rischio” la sentenza, perché sarebbe diversa da ciò che ha avviato il processo.

Nessuna sollecitazione
“Nessuna minaccia o sollecitazione - rimarca il legale - solo domande a mons. Vallejo per approfondire i documenti” che lui aveva consegnato "spontaneamente”. I contatti erano sempre amicali e rispettosi. Per Palombi “Manca la condotta criminosa”. Torna a parlare del diritto di cronaca e di trasparenza. Afferma che se Nuzzi e Fittipaldi non avessero raccolto il materiale di mons. Vallejo forse altri lo avrebbero fatto o (cita ancora Mieli) si sarebbe aperta “l’anticamera del ricatto”. L’avvocato sostiene la centralità della verità e della giustizia, ricorda in tal senso Papa Leone XIII, Giovanni XXIII e Papa Francesco, invoca “i principi del diritto internazionale”, “naturale” e il “diritto e dovere d’informazione”.  

Richieste
Palombi chiede dunque per Nuzzi il riconoscimento da parte del Tribunale del difetto di competenza per carenza di giurisdizione e l’assoluzione dall’imputazione di concorso nel reato di divulgazione con la più ampia formula liberatoria.

L’avvocato Lucia Teresa Musso
L’avvocato di Fittipaldi, Lucia Teresa Musso, chiede l’assoluzione piena. Ripercorre la carriera del giornalista, afferma che da molti anni si occupa di Vaticano ed elenca una serie di articoli antecedenti alla conoscenza di mons. Vallejo e Chaouqui. Parla della correttezza del suo assistito e della disponibilità avuta durante tutte fasi del procedimento che lo vede imputato. Precisa la condotta irreprensibile di Fittipaldi il quale “non è mai stato condannato” e che Mieli lo ha definito un “professionista perbene”.   

Accusa senza sostegni
“La tesi del Promotore di giustizia – evidenzia Musso – non ha trovato sostegni e prove adeguate”. Anche l’avvocato di Fittipaldi evoca le norme sulla libertà di stampa e il diritto di cronaca, Mieli viene ancora citato sul dovere del giornalista di pubblicare. Il legale sottolinea il rispetto e tutela delle fonti che ha avuto Fittipaldi “appellandosi” anche “al segreto professionale” durante le deposizioni. Spiega poi che il giornalista inizia a lavorare al libro “Avarizia” prima di incontrare mons. Vallejo e che il testo è frutto di un lungo lavoro di inchiesta e verifica.

Nessun concorso
Precisa che il suo assistito e Nuzzi “non si sono mai incontrati prima del processo”, che “non conosceva Maio” e che gli “incontri con Chaouqui e mons. Vallejo sono stati occasionali e a motivo del suo lavoro d’indagine”. E che “è un’occasione ghiotta” – afferma Musso – il fatto che l’ex Segretario di Cosea "lo cerchi”, lui “non sa come Chaouqui e il monsignore hanno ottenuto i documenti”, ma “pensa che li abbiano in ragione dell’incarico” ricoperto. “Non sa – prosegue Musso - se sono frutto di un illecito oppure no”. Fittipaldi fondamentalmente usa gli atti “per compiere delle verifiche” rispetto al materiale in suo possesso, poiché il libro è quasi ultimato.

Copie staffetta illazioni
“Non ci sono prove - evidenzia l’avvocato -  che l’imputato abbia rafforzato l’intenzione di mons. Vallejo a compiere il reato”, anche perché il prelato nel suo memorandum scrive: “Non so cosa avrebbero fatto dei documenti, ora so che sono finiti nei libri”. Musso definisce “illazioni” e senza “fondamento alcuno” la tesi portata dal Promotore di giustizia in relazione alle cosiddette “copie staffetta”, che sono una prassi ordinaria degli editori e “non la dimostrazione del passaggio di documenti da Chaouqui a Fittipaldi”.

La trasparenza voluta dal Papa
L’avvocato ribadisce che la pubblicazione del libro “Avarizia” è avvenuta nel contesto della “politica di trasparenza voluta da Papa Francesco”. “Nessuna pressione" su mons. Vallejo – sostiene – riferendosi al clima cordiale e rispettoso tra il giornalista e l’ex Segretario Cosea, “solo domande in relazione al lavoro” d’inchiesta. Il difensore poi puntualizza che le “auto-suggestioni ed interpretazioni del monsignore non sono minacce o pressioni”.  A sostegno cita vari messaggi tra i due. Musso ha dunque chiesto l’assoluzione dal concorso nel reato di divulgazione, con formula piena perché il fatto non sussiste e – in estremo subordine – per insufficienza di prove.

Repliche
Immediate le repliche dell’Ufficio del Promotore di Giustizia e degli avvocati di parte. Il prof. Zannotti ricostruisce la questione dell’applicazione WhatsApp in relazione al telefono della Chaouqui. Afferma che “è pacifico che l’imputata abbia consegnato” l’appartato “alla gendarmeria” e che sul telefono di mons. Vallejo esiste il contatto per la chat tra lui e l’imputata, ma che sul telefono della donna non c’è traccia, “e sia che ci sia stata una cancellazione volontaria - spiega - o fortuita, bisogna considerarlo”. “Sull’aver dato dei documenti – ricorda Zannotti – è la stessa Chaouqui ad ammetterlo nel primo interrogatorio” ed anche se ritratta è “il giudice che dovrà pronunciarsi”. Poi si riferisce all’incontro tra mons. Vallejo, Nuzzi e Chaouqui organizzato a casa dell’imputata. “Si evince dalla triangolazione di messaggi tra i tre - afferma - che si prepara qualcosa di importante”. Precisa la responsabilità della donna che sta nel fatto di “mettere in contatto”, anche se “dopo non partecipa attivamente al travaso dei documenti”. 

Il prof. Milano
Il prof. Milano torna su Maio, ammette che “è più defilato rispetto ad altri” ma da “subito è partecipe della Commissione segreta”. Cita a sostegno della tesi l’email dell’ottobre 2014 inviata da Chaouqui da Torino in cui lei ribadisce la convinzione di ritornare “più forti di prima”. Il giorno dopo Maio risponde: “solo, stavolta scegliamo le persone giuste”. L’imputato a questo punto alza la voce cercando di dire che si riferisce all’associazione Messaggeri della Pace, ma viene subito richiamato dal presidente del Tribunale, Dalla Torre. Il Promotore di giustizia ribadisce ancora che “altre attività si erano aperte parallelamente” all’attività in Cosea.

Repliche avvocati
Le repliche degli avvocati di parte in sostanza confermano le arringhe. In particolare Bellardini ribadisce "l’assenza di associazione a delinquere”. Sgrò riferendosi a mons. Vallejo afferma che “un unico testimone non ha valore giuridico”. 

Non è processo contro la libertà di stampa
Poi con forza il prof. Zannotti sottolinea “anche in ragione di articoli pubblicati" che il "processo in corso non è in alcun modo contro la libertà di stampa, l’ipotesi di reato per i giornalisti – scandisce - riguarda il concorso mediante rafforzamento del proposito di divulgare documenti riservati da parte degli imputati principali”.

 








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