2016-07-12 14:10:00

Lavoro nero, mons. Longoni: uno dei volti della cultura dello scarto


Lavoro nero, caporalato, truffe ai danni degli Enti previdenziali, violazioni della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro: sono queste le principali irregolarità riscontrate, in varie province italiane, dai Carabinieri per la tutela del lavoro durante una serie di recenti controlli compiuti in base alle direttive ricevute dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

E’ un’istantanea parziale ma significativa quella che emerge dall’indagine svolta nel trimestre da aprile a giugno. In una nota diffusa dai carabinieri si rende noto che sono state esaminate 405 imprese in diverse province, tra cui quelle di Crotone, Roma, Milano e Vicenza. Sono state verificate le posizioni lavorative di oltre 2.000 persone. Sono stati scoperti 270 lavoratori in nero, di cui 33 immigrati irregolari, e denunciati 146 imprenditori. Sono state sospese 78 attività imprenditoriali ed emesse multe per un totale di oltre 1 milione ed 800 mila euro. L’impiego di manodopera in nero è stato riscontrato in diversi settori tra cui, in particolare, il tessile e l’agricoltura. Nello stesso periodo, da aprile a giugno, sono stati effettuati controlli anche in Sicilia: su 159 lavoratori, 27 sono risultati in nero.

Sullo scenario emerso da questa indagine e sulla piaga del lavoro nero si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore dell’ufficio della Cei per i problemi sociali e il lavoro, mons. Fabiano Longoni:

R. – Mi sembra che questi dati confermino, purtroppo, il trend che da qualche anno continua a crescere. Bisogna tener conto del fatto che il lavoro nero, il il caporalato nei diversi settori dell’ambito economico nasconde poi un altro grande problema, che è un po’ conseguente: quello della sicurezza.  Moltissimi sono i lavoratori senza tutele, molte volte a rischio della vita o di incidenti molto gravi. Anche quest’ultimo è un dato recente, quello che vede l’aumento di incidenti sul lavoro. Il dato generale che si rileva è anche che, ancora una volta, si tenta di avere un beneficio economico piuttosto che il bene comune che il lavoro produce. Un bene comune attraverso una forma di partecipazione che il datore di lavoro dà con il pagamento dei contributi, per il futuro degli stessi lavoratori e attraverso la tassazione. Tutte queste cose fanno capire che oggi il grande problema riguarda proprio i legami: non si coglie il senso di un beneficio a lungo termine ma si preferisce avere un vantaggio economico immediato, anche forse per resistere alla stessa crisi. Le modalità poi possono essere diverse a seconda della Regione, della situazione o dell’imprenditore. Questo però non giustifica il fatto che il fenomeno sia tollerato e, purtroppo, non controllato a sufficienza.

D. – Emerge dunque una diffusa visione individualista, che alimenta quella che Papa Francesco ha più volte denunciato come la “cultura dello scarto”. Si scarta il futuro dei lavoratori, di alcuni in particolare…

R. – Questo fa un po’ riflettere sul tema generale della povertà. Il vero problema sono oggi le disuguaglianze: c’è una serie di persone che non viene assolutamente tutelata nei propri diritti. E lo scarto produce scarto e quindi, di conseguenza, non c’è capacità di reintegrazione, di una crescita e di uno sviluppo economico che siano disponibili ad un miglioramento generale.

D. – Lo scarto è anche alimentato dalla convinzione di alcuni datori di lavoro, ad esempio, che il sistema non punisce, come dovrebbe, le irregolarità…

R. – Le tutele, date da istituti ben precisi, poi in realtà, per scarsità di personale – e non dico per connivenza o corruzione – purtroppo non sono però ottemperate. Teniamo presente che oggi ci sono possibilità di denuncia anonima, nel senso buono del termine perché non venga a mancare la tutela dello stesso lavoratore che denuncia. E questo è previsto in tutti gli ambienti, anche in quelli statali: quando un lavoratore non lavora o fa il timbrare il cartellino da qualcun altro, in quel momento sta rubando alla comunità sociale, al bene comune, e sta anche andando contro al rapporto con i suoi colleghi di lavoro. Tutte queste cose – secondo me – fanno parte di un problema gravissimo, che il Papa chiama più volte con il nome di “corruzione”: l’incapacità di uscire da un sistema che si autoalimenta secondo la logica del: “Si è sempre fatto così… Non si può cambiare…”. E in fondo poi lo scarto lo creiamo noi, ed è quasi un "dovuto" di questo sistema economico.

D. – Per rompere questa cultura dello scarto, qual è lo scossone che si può fare subito, e che sarebbe anche un po’ uno spartiacque tra l’oggi e il domani?

R. – Lo scossone – secondo me – è una coscienza che diventi una coscienza attiva. E io credo che i cittadini oggi si rendano conto che non basta votare un politico diverso perché il mondo cambi. Ma è invece importante, prima di tutto, farsi un esame di coscienza e, come dice più volte il Papa, una “conversione a tutti i livelli”; perché tutto è connesso, secondo la logica per la quale nessuno di noi è deresponsabilizzato e deresponsabilizzante. Anche da un punto di vista educativo, penso alle generazioni future che, vivendo in questo clima, possono pensare che tutto sia in qualche modo tollerabile e giustificabile. 








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