Le Chiese cristiane in Sud Sudan sono “profondamente preoccupate” dalla ripresa delle violenze tra i soldati fedeli al presidente Salva Kiir e le milizie legate al suo vice Riek Machar. In un messaggio diffuso domenica sulla radio, a nome a nome di tutti i leader cristiani, il segretario generale del Consiglio delle Chiese (Sscc), padre James Oyet Latansio, richiama “militari e civili ad astenersi da qualsiasi provocazione” e i leader politici “ a fare il possibile per fermare l’escalation”.
Il tempo del ricorso alle armi è finito
“Non esprimiamo alcun giudizio su come e perché sono avvenuti gli scontri armati e
sulle responsabilità, ma rileviamo con preoccupazione che negli ultimi tempi si sono
verificati diversi incidenti e che la tensione cresce ”, si legge nel testo che condanna
senza distinzione tutte le violenze: “Il tempo del ricorso alle armi è finito ed è
giunta l’ora di costruire una nazione pacifica”. I leader cristiani esprimono il
loro apprezzamento per l’appello alla calma rivolto in questi giorni dai due ex-rivali
Salva Kiir e Riek Machar, ma allo stesso tempo rilevano che, purtroppo, le uccisioni
non si sono verificate solo nella capitale, ricordando tra le vittime suor Veronika
Theresia Rackova, la missionaria verbita slovacca uccisa lo scorso maggio nella diocesi
di Yei da colpi di arma da fuoco sparati da alcuni soldati. Il messaggio conclude
assicurando le preghiere delle Chiese per il Paese ed esortando nuovamente alla calma
e alla speranza.
Un messaggio di speranza dai vescovi per l’anniversario dell’indipendenza
E un messaggio di speranza e incoraggiamento è stato lanciato anche dai vescovi del
Sud Sudan, alla vigilia della celebrazione del quinto anniversario dell’indipendenza
del Paese conquistata il 9 luglio 2011 e dopo la costituzione lo scorso aprile del
nuovo Governo di unità nazionale. “Non abbiate paura — sottolineano i presuli — alzatevi
sopra le avversità. Siate pronti ad impegnarvi per la pace e per il bene comune”.
L’episcopato, inoltre, invita a uscire da una logica di guerra per promuovere una
nuova cultura di pace e di riconciliazione: “Non c’è una guerra giusta, è necessario
piuttosto un approccio a una pace giusta”. Allo stesso tempo però si denunciano quelli
che sono gli ostacoli al dialogo e a una vera ricostruzione: “Dobbiamo sfidare la
cultura militarista in Sud Sudan, dove perfino i civili portano armi da guerra. Condanniamo
il commercio di armi che alimenta la guerra”. (L.Z.)
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