2016-07-13 15:03:00

Padre Chendi ricorda mons. Zimowski: un cuore attento agli ultimi


"Dio non ci abbandona mai": era una frase che ripeteva spesso mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, che si è spento ieri in Polonia dopo una lunga malattia. Il ricordo di mons. Zimowski nelle parole del sottosegretario allo stesso Dicastero, padre Augusto Chendi:

R. – Io ho lavorato con mons. Zimowski dal 1995, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, e poi l’ho ritrovato come presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute cinque anni fa. Sia come officiale sia come presidente di un Dicastero, posso dire di avere un ricordo splendido. Da sempre lui ha avuto una particolare attenzione per i poveri, quasi una predisposizione naturale, tanto che anche nei giorni scorsi, salendo in Polonia per incontrarlo per l’ultima volta - come è avvenuto di fatto - ho potuto vedere le opere che lui ha compiuto, ha costruito dal nulla, sia a Kupienin, la sua città natale, sia anche nelle Diocesi di provenienza come Tarnów e Radom, dove è stato vescovo, opere di carità improntate soprattutto all’aiuto ai più poveri, agli anziani, ai disabili, in particolare ai bambini disabili. Questo cuore veramente attento agli ultimi ha fatto sì, secondo me, che l’allora Papa Benedetto lo nominasse presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Quindi credo che essere morto ancora come presidente del Pontificio Consiglio sia quasi il coronamento di una vita tutta spesa al servizio degli altri, in particolare - come ho già detto - degli anziani, delle persone ammalate, con un’attenzione particolarissima a coloro che li assistono, quindi il mondo del volontariato e le famiglie, che sono quelle che giorno per giorno assistono questi malati.

D. – Lui infatti sottolineava molto l’accompagnamento della persona malata, nel senso anche di riuscire a valorizzare la sofferenza di chi, in quel momento, si trova a viverla…

R. – In modo particolare, lui era molto legato a San Giovanni Paolo II e negli ultimi anni ha riscoperto un’affermazione che, di primo acchito, potrebbe sembrare impossibile da comprendere, ovvero che occorre fare del bene a chi è malato, ma che si può fare anche molto bene per mezzo della sofferenza. E credo che questo binomio lui l’abbia sperimentato nella sua azione pastorale, accompagnandolo anche in tanti ospedali, in case di cura o in case di accoglienza per disabili, lui ha sempre puntato a questa capacità, a questa possibilità e ricchezza che la sofferenza ha, perché la Chiesa possa essere evangelizzatrice anche attraverso la parola muta del silenzio, della sofferenza. E poi, in prima persona, lui ha sperimentato questa simbiosi. Incontrandolo 15 giorni fa per l’ultima volta mi ha confidato quanto vivere il mistero della sofferenza possa essere prezioso per svolgere fino in fondo la missione di sacerdote, di pastore.

D. – Mons. Zimowski diceva che bisognava vedere la mano di Dio anche nella sofferenza...

R. – Un anno e mezzo fa gli è stata diagnosticata questa patologia neoplastica e dopo il primo e il secondo intervento, che risale al Natale dello scorso anno, per un anno è vissuto senza alcun intervento chimico o farmacologico o quant’altro. Lui attribuiva all’intercessione di San Giovanni Paolo II questa guarigione, così come la chiamava, questo momento di sosta. E quindi avvertiva la mano, la presenza di Dio in questo momento di sosta. Una sosta che poi ha avuto un tracollo abbastanza repentino. Ma anche in questo momento molto, molto tormentato - come posso testimoniare, avendolo incontrato 15 giorni fa sul letto di morte - questa mano si è fatta presenza. “Dio non ci abbandona mai - questa è una sua espressione - anche nella notte del dolore, della sofferenza, della solitudine più estrema e angosciante non siamo soli".








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