2016-07-16 10:30:00

Sud Sudan: l'impegno dei missionari per la pace


Nonostante il cessate il fuoco la pace in Sud Sudan è soltanto apparente. Sono infatti un milione, secondo l'Onu, i profughi e gli sfollati senza cibo e riparo, e i racconti della missione salesiana che ospita più di 8mila persone al giorno parlano di una tregua non rispettata, con raffiche di mitragliatrici, esecuzioni sommarie e violenze. Il Consiglio delle Chiese sud-sudanesi ha promosso per oggi una giornata di preghiera per la nazione e perché i leader del Paese tornino al dialogo. Salvatore Tropea ha intervistato fratel Amilcare Boccuccia, lasalliano, che dal 2007 al 2011 è stato responsabile del progetto Solidarietà per il Sud Sudan, un’iniziativa ecclesiale inter-congregazionale presente nel Paese per la formazione di insegnanti, personale sanitario e agenti pastorali:

R. – Sembra che il cessate il fuoco per ora sia rispettato, però non c’è sicurezza e quindi molta gente non è ritornata nelle proprie case. Quelli che sono tornati le hanno trovate in generale completamente depredate, altri cercano di fuggire, però il problema fondamentale è che non sentono più la sicurezza ed hanno paura che la guerra tra le varie fazioni, a questo punto, possa riprendere in una forma più totale, generale. Quindi nessuno è sicuro, non si sa che cosa potrebbe avvenire.

D. - Il processo di pace è in stallo. Serve una risposta dalla comunità internazionale?

R. - Gli aiuti servono senz’altro, così come una risposta da parte della comunità internazionale, soltanto che penso realisticamente che sia molto difficile prima di tutto far arrivare gli aiuti. Gli unici punti di movimento sono i piccoli aeroporti, di cui solo due sono stati assaltati, quindi molte volte non si può atterrare. Il resto delle strade sono quasi impraticabili. Il problema vero è che la paura di quello che è successo in questi quattro cinque giorni a Juba sia solo l’inizio di una ripresa dei combattimenti a larga scala. Sicuramente con quello che è successo, con la morte di centinaia di soldati, ma soprattutto quella di molti civili, è come aver innescato la miccia. Ci troviamo di fronte a qualcosa che molto difficilmente è un cessate il fuoco per un periodo di dialogo e discussioni. Si spera questo, ma tutte le cose fanno prevedere che probabilmente non sarà così.

D. - Il progetto solidarietà per il Sud Sudan è operativo nel Paese dal 2007. Come sta reagendo in questi giorni? La formazione di insegnanti e paramedici continuerà?

R. - La nostra intenzione è quella di non lasciare. Di tutti i Centri che avevamo creato abbiamo dovuto abbandonare soltanto quello di Malakal, perché tutta la città è stata distrutta ed è stata quasi completamente abbandonata. Gli altri Centri continuano ad offrire l’educazione anche se non è facile; ci sono periodi in cui bisogna stare chiusi e si cerca di continuare a fare le lezioni quando le cose sono abbastanza tranquille. La stessa cosa si può dire di altri Centri. Sicuramente l’estensione e l’impatto che avevano durante il periodo tranquillo in cui c’erano corsi al di fuori dei nostri Centri attraverso il movimento, non c’è più. Questo ormai è fermo.








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