2016-07-20 19:58:00

Turchia sulla via di svolta autoritaria: protesta Amnesty International


In Turchia prosegue e si allarga - a cinque giorni dal fallito colpo di Stato -  la repressione del governo, non solo sui golpisti e i dissidenti ma sulla popolazione grandemente intimorita. E, nulla è trapelato sulla riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, convocato oggi dal presidente Erdogan, rientrato per la prima volta ad Ankara, da venerdì scorso. Cresce dunque la preoccupazione nel mondo per la deriva autoritaria. Protesta Amnesty international. Il servizio di Roberta Gisotti

“Vi impiccheremo tutti”, la minaccia sullo striscione a piazza Taskim ad Istanbul, simbolo delle proteste antigovernative oggi palcoscenico dei sostenitori del presidente Erdogan, che chiedono vendetta contro i golpisti. E proseguono le misure repressive: oltre 60 mila le persone colpite, militari, magistrati, avvocati, poliziotti, dipendenti pubblici, giornalisti, insegnanti e docenti universitari. Circa 10 mila gli arresti, tra cui oggi il rettore dell’Università Gazi di Ankara. Stampa silenziata: 25 tv, radio, giornali e 20 siti web chiusi. Protesta Amnesty international, che denuncia anche torture nella centrale di polizia di Ankara.

E mentre gli Stati Uniti negano ogni sostegno al golpe ed insieme all’Europa richiamano la Turchia a rispettare le regole democratiche, “ogni giorno nuove misure contraddicono lo stato di diritto”, ha denunciato il portavoce della cancelliere tedesca Merkel. In Italia, il Consiglio Superiore della Magistratura ha sospeso ogni rapporto con l’omologo Consiglio turco che ha destituito oltre 2000 giudici. E preoccupazione in merito ha espresso anche il Consiglio d’Europa. Mentre la Federazione nazionale della Stampa italiana ha manifestato questo pomeriggio nei pressi dell’Ambasciata turca a Roma, contro quella che viene definita “la dittatura messa in atto da Erdogan”. Alle epurazioni ha risposto anche il sito Wikileaks mettendo in rete circa 300 mila mail interne del Partito Akp di Erdogan.

Unica voce contraria alla vendetta il Gran Mufti Gormez, capo della Direzione Affari religiosi, che ha chiesto al popolo di rimanere unito a prescindere da “fede, idee, approcci e stili di vita”, auspicando che “la nazione protegga … la libertà e la democrazia, cosi come i valori morali e materiali”.

Sui rischi di una islamizzazione della società turca Marco Guerra ha intervistato il giornalista esperto dell’area, Alberto Rosselli:

R. – Sicuramente la Turchia di oggi è avviata lungo la via di una radicalizzazione islamica e si vede l’affermarsi nel Paese di un governo sempre più autocratico e filo-islamista che, nel contempo, coniuga il mai sopito nazionalismo etnico linguistico e la fede islamica. Questi fenomeni hanno una radice profonda che affonda in parte nel lungo conflitto con le popolazioni allogene che vivono in Turchia ed hanno a che fare con l’ambigua politica anti-Is di Ankara e nell’evidente politica islamista di Erdogan. Una politica che però, oltre a distruggere sistematicamente uno Stato laico fondato da Mustafà Ataturk, sostituisce quel sogno laicista con un altro sogno: quello del Califfato islamico sunnita. Questo atteggiamento non fa altro che aizzare la parte più radicale dell’islam presente in Turchia.

D. – Dopo il fallito golpe, per le vie delle principali città turche si sono visti giovani fare caroselli con bandiere turche che prima erano appannaggio dei sostenitori della laicità. Questa Turchia laica e liberale sembra essersi polverizzata?

R. – Sicuramente. Il sogno di Mustafà Ataturk è già iniziato a svanire da circa 10-11 anni. È stato un processo di eliminazione graduale e la deriva islamica o filo-islamica di Erdogan non è una novità, perché già nel 2008 Erdogan aveva dichiarato di volere in qualche modo instaurare nuovamente una politica che coniugasse lo sviluppo economico e finanziario del Paese ma col rispetto della Sharia.

D. – Erdogan rischia veramente di accentrare il potere in maniera autoritaria? Si rischia di andare verso un autoritarismo molto forte?

R. – La recente legge sull’abolizione della tutela, materia di determinati reati di opinione, che è stata varata del governo turco pochi mesi fa e che di fatto ha riaperto dei processi per reato di opinione nei confronti di dissidenti di Erdogan – ma dissidenti parlamentari soprattutto di parte curda – lo dimostra ampiamente. Si può parlare sicuramente di una deriva fortemente autoritaria.

D. - Alcuni sottolineano che la Turchia di Erdogan è quella dei ceti medio bassi che hanno goduto del boom economico, a cui ha contribuito indubbiamente il presidente…

R. – Si è fatto cenno, come avete giustamente notato, di classi medio basse che hanno avuto effettivamente un riscontro positivo per quella che è stata un po’ l’apertura alle nuove indicazioni dell’economia moderna e contemporanea. Però bisogna anche considerare che la Turchia ha avuto il suo zenit per quanto riguarda la ripresa economica due anni fa, ma in questo momento la Turchia non è in ripresa economica. C’è una stagnazione, quindi bisognerà vedere nell’arco di due, tre anni, quello che poi succederà.

D. – Questa Turchia si allontana dall’Unione Europea e si avvicina agli Stati del Medio Oriente più radicali?

R. – Il sogno della Turchia è quello di diventare lo Stato capocordata per quello che riguarda il mondo sunnita. È stato dichiarato più volte dallo stesso Erdogan, cioè lo Stato guida moderno che in qualche modo è il punto di riferimento non solo politico e istituzionale ma anche religioso del mondo islamico. Io non credo che sia possibile anche perché le sensibilità sotto questo punto di vista di un Iran o di un’Arabia Saudita sono ben differenti, ma il sogno della Turchia è la restaurazione del ruolo guida del Califfato ottomano.








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