2016-07-24 12:30:00

Bambino Gesù: i bambini autistici salgono in pedana alle Olimpiadi


Salire in pedana con gli atleti della nazionale italiana di scherma alle imminenti Olimpiadi di Rio. É il sogno che si realizzerà per otto bambini con disturbo dello spettro autistico in cura all'Ospedale Bambino Gesù di Roma. Un progetto innovativo che punta a migliorare l'inclusione sociale e il benessere psico-fisico dei piccoli affetti da autismo. Il servizio di Daniele Gargagliano:

"In guardia, pronti a voi". Saluto all'avversario e l'incontro prende il via. Sulla pedana questa volta non ci sono, però, i grandi spadaccini ma i più piccoli, quelli che non sempre riescono a far sentire la loro voce. Otto bambini con disturbo dello spettro autistico, che si sono allenati negli ultimi mesi nella parrocchia di Nostro Signore di Coromoto, vivranno fianco a fianco con i loro idoli sportivi la prossima avventura olimpica. Il progetto Rio 2016, dell'Ospedale Bambino Gesù, in collaborazione con Aita Onlus e con l'Accademia di scherma Lia e la stessa federazione italiana, permetterà ai piccoli pazienti del reparto di neuropschiatria infantile dell'ospedale pediatrico di accompagnare la nazionale di scherma a Rio de Jainero, grazie all'idea e al lavoro del dottor Luigi Mazzone che li segue passo passo, con addosso sia il camice che la tuta:

R. – Attraverso lo sport, attraverso i progetti ludico-ricreativi, secondo me, otteniamo tanto quanto – se non a volte di più – rispetto a tanti ricoveri e a tante terapie farmacologiche. Il principio, quindi, è stato quello di costruire un’attività sportiva strutturata - in questo caso la scherma - scegliendo uno sport socio-relazionale che potesse garantire una reale integrazione, un reale gruppo, che questi ragazzi potessero vivere quotidianamente.

D. – Quando nasce la vostra Accademia, l’Accademia Lia?

R. – L’Accademia Lia nasce a novembre del 2015, per ricordare una persona che in questo momento non c’è più, per far sì che comunque questi ragazzi possano avere una possibilità reale di stare a contatto con i bambini normotipici. Il principio infatti è che in questa palestra si allenino sia bambini normotipici, sia bambini con la condizione autistica.

D. – Un valore aggiunto…

R. – Assolutamente. Il principio è un’integrazione reale, ma non solo a parole. Praticamente vogliamo far stare insieme tutti i bambini, a prescindere dal loro modo di relazionarsi.

D. – So che state utilizzando una parrocchia per gli allenamenti…

R. – Sì, don Francesco ha messo a disposizione la parrocchia Nostra Signora di Coromoto ed io di questo lo ringrazio, perché senza uno spazio non fai nulla sostanzialmente.

D. – Ai ragazzi viene insegnata la luce, con cui capiscono che hanno fatto punto. E’ un metodo particolare…

R. – Noi normotipici sostanzialmente ci muoviamo su un canale verbale. Le persone con autismo sono più su un canale visivo. Avendo, dunque, la scherma un supporto tecnologico che è quello dell’accensione della luce nel momento in cui tu porti il punto, ovviamente quello, a livello di rinforzo positivo, gratifica molto il ragazzo autistico che è in pedana. Gli porta motivazione e, comunque, gli dà la forza e l’energia per tornare a combattere. Poi c’è tutta l’attrezzatura, perché comunque hai la spada e te la curi; hai il tuo armamentario da combattimento. Le mamme mi dicono: “Lui tiene molto alla spada; tiene molto alla sua attrezzatura”. E tutto questo in alcuni sport non c’è.

D. – Studiandone il comportamento, quali sono i risultati che si notano subito?

R. – C’è un aumento dell’autostima, per cui i ragazzi sono in grado di fare qualcosa. Questi sono ragazzi che spesso hanno difficoltà a fare attività sociali. Sono stati ragazzi, dunque, che fin da subito hanno aumentato l’autostima, hanno aumentato la loro motivazione a fare qualcosa. E poi sulle famiglie, essendo finalmente i ragazzi impiegati in qualcosa.

Campioni di sport, campioni nella vita. Come Paolo Pizzo oro mondiale nella scherma individuale nel 2011 e quinto alle ultime Olimpiadi di Londra, al quale a soli 13 anni era stato diagnosticato un tumore al cervello:

R. – E’ un vanto – l’ho detto prima parlando con il dott. Mazzone, che è anche il mental coach della nostra squadra olimpica - ed è un orgoglio, perché è un progetto nuovo. Non credo che altre nazioni, di altri sport abbiano portato alle Olimpiadi dei ragazzi con dei problemi del genere. Quindi ne va fatto vanto. Io spero di poter stringere questi ragazzi a Rio, dopo una gara fatta bene, con qualcosa appeso al collo.

D. – Tu hai avuto un travaglio personale, una malattia che hai affrontato. Hai un’empatia particolare con questi ragazzi?

R. – Sì, diciamo che chi è passato per una storia del genere, come la mia – io ho superato un tumore al cervello – è chiaro che arrivando in un ambiente ospedaliero, di terapia, viene colpito immediatamente e sia in qualche modo più sensibile, se possibile, e non è retorica. Poter vedere, quindi, anche un loro mezzo sorriso, mi riempie di gioia, e non sono uno che parla a caso.

D. – Vincerai anche per loro?

R. -  Ci provo. Ce la metterò tutta, sicuro.








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