2016-07-24 14:08:00

Iraq, attentato contro quartiere sciita a Baghdad. Strage in Afghanistan


E' salito ad almeno 14 morti e 20 feriti il bilancio dell'attentato suicida avvenuto questa mattina in un quartiere sciita nel nord di Baghdad, in Iraq, e rivendicato on line dal sedicente Stato islamico (Is). In Afghanistan, intanto, è stato proclamato il lutto nazionale per l’attentato di ieri, pure rivendicato dall'Is. Neppure in Siria cessano le violenze: 5 ospedali colpiti dai bombardamenti nelle ultime 24 ore. Tra le vittime ci sarebbe anche un neonato di appena due giorni. Sul fronte politico-diplomatico, il governo siriano si dice pronto a continuare i colloqui di pace senza precondizioni, per raggiungere una soluzione politica alla crisi del Paese. La cronaca nel servizio di Elvira Ragosta:

Arriva dal web la rivendicazione del sedicente Stato islamico per l'attentato di oggi a Baghdad, dove all'ora di punta un kamikaze si è fatto esplodere in prossimità di un posto di blocco e di una piazza molto affollata, all'entrata del quartiere sciita Kadhmiyah. L'esplosione ha distrutto parte del posto di blocco e incendiato molti veicoli nelle vicinanze. Ieri l'Is ha rivendicato anche l'attentato avvenuto in Afghanistan, sempre contro gli sciiti. Ottanta i morti e oltre 230 i feriti nella doppia esplosione di Kabul, dov'era in corso una manifestazione di protesta pacifica da parte della minoranza etnica degli hazara, di confessione sciita. Sulla contrapposizione tra sunniti e sciiti abbiamo intervistato Massimo Campanini, professore di Islamistica e Storia dei Paesi islamici all'Università di Trento:

R. – Il contrasto tra sunniti e sciiti in Iraq dipende dal fatto che la sciaguratissima spedizione di George Bush contro Saddam Hussein nel 2003 ha praticamente alimentato al Qaeda in Mesopotomia e i gruppi terroristi di Abu Moussab al-Zarqawi legati ad al Qaeda hanno scelto la lotta contro gli sciiti invece che contro il nemico lontano. Questa è stata una deviazione tattico-strategica che ha precipitato lo scontro tra sunniti e sciiti in Iraq, dopo che per secoli le due confessioni avevano convissuto sotto l’Impero ottomano. E naturalmente questa situazione è stata ulteriormente peggiorata e precarizzata dal fatto che l’Iraq è nel mezzo tra le opposte egemonie dell’Iran, che ovviamente è sciita, e dell’Arabia Saudita, che è sunnita. Quindi, tutti questi elementi convergono a spiegare questo tipo di situazione. In Afghanistan, la situazione è parzialmente diversa nella misura in cui ci sono delle faglie tribali. L’estremismo sunnita è legato soprattutto all’etnia pashtun, dove gli sciiti sono una minoranza diversa, comunque, rispetto a quella irachena: a mio avviso, le due situazioni non possono essere ricondotte a un minimo comune denominatore.

D. – Dunque, non una contrapposizione specificamente tra sunniti e sciiti, ma una lotta per il potere?

R. – Certamente sì, secondo me, perché gli sciiti detengono la maggior parte del petrolio iracheno. Cioè, i territori sunniti sono privi di petrolio, perché in Iraq il petrolio c’è nel Kurdistan e nel Sud sciita: quindi, ci sono anche queste variabili che si aggiungono, evidentemente, ai giochi di potere, di opposte egemonie di cui – come dicevo prima – l’Iraq si trova a essere l’anello di bilanciamento tra l’Iran e l’Arabia Saudita; e inoltre c’è questa infiltrazione qaedista che, fin dall’epoca di Abu Moussab al-Zarqawi, aveva cercato di modificare – almeno parzialmente – la strategia di al Qaeda, preferendo la lotta contro gli sciiti alla lotta contro l’Occidente.

D. – Riguardo all’attentato di Kabul: oggi in Afghanistan giornata di lutto nazionale; anche il Consiglio degli ulema afghani ha condannato l’attentato e in un comunicato scrive: “I terroristi non conoscono limiti di etnia e di religione e agiscono contro esseri umani e islam”. Ma come leggere l’attentato rivendicato dal sedicente Stato islamico a livello territoriale?

R. – Credo che siccome lo Stato islamico effettivamente, nella zona di radicamento principale, cioè nella zona siro-irachena, è potenzialmente in ritirata o, se non in ritirata, comunque non è più in grado di espandersi e di radicarsi ulteriormente sul terreno, è chiaro che esso può avere interesse ad allargare la sua prospettiva organizzando attentati come può essere quello di Dacca, come può essere quello di Kabul. Siccome c’è un indebolimento sul terreno e quindi un indebolimento della capacità militare, si cercano soluzioni “terroristiche”, anche perché a livello di perdite, a livello di costi, di rapporto costi-benefici le azioni terroristiche obiettivamente – è cinico dirlo – ma costano di meno.








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