2016-07-25 13:35:00

Turchia. La denuncia di Amnesty: detenuti torturati


Proseguono le epurazioni in Turchia dopo il fallito golpe: oggi arrestati 42 giornalisti, mentre il ministero dell’Interno di Ankara punta il dito contro la Cia, cui attribuisce la regia del fallito golpe. Intanto il ministro degli Esteri turco avverte l’Unione Europea: non ci minacci con una negata adesione. Torture e stupri sui detenuti: questa la denuncia di Amnesty International che sostiene di avere in merito “prove credibili”. Per un commento su quanto sta accadendo, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente a Istanbul Marco Ansaldo, giornalista di Repubblica:

R. – È giusto che Amnesty si occupi della repressione in Turchia, perché vediamo che le misure che sono state prese dal governo controllato dal Presidente Recep Tayyip Erdogan sono davvero molto dure, toccano una tipologia di categorie professionali molto ampia che va, naturalmente, dai militari considerati golpisti ai giudici ai magistrati ai giornalisti … E naturalmente, il fatto che ci siano persone – se verrà effettivamente verificato – che sono sottoposte a maltrattamenti o torture, tutto questo andrà sottoposto agli organi europei e internazionali perché intervengano. Del resto basti ricordare le fotografie, le immagini che sono arrivate subito dopo il fallito golpe, che mostravano i militari non soltanto picchiati, malmenati dalla folla, ma ci sono stati casi di linciaggio. Quindi certamente ci sono casi che vanno posti sotto controllo.

D. – Oggi Erdogan incontra le opposizioni, ma dall’incontro è escluso il Partito curdo: è un tentativo di dialogo, secondo te?

R. – Il dialogo viene formalmente avviato. Certamente è un dialogo che soffre di un cardine importante, perché a giudizio di molti osservatori internazionali il Partito curdo, che è un partito democratico, nato da poco, che ha avuto lo scorso anno nelle elezioni generali il 13% dei voti oltrepassando, quindi, la soglia di sbarramento  parlamentare, è un partito che si sta dimostrando - come il suo leader Selahattin Demirtaş - molto duttile, capace di dialogare, è un partito in cui credono anche, non soltanto i curdi, non soltanto la parte del Sudest, ma molti intellettuali, molti cittadini semplici che stanno nelle grandi città … È, quindi, un interlocutore che va considerato a tutti gli effetti come tale, ha una rappresentanza parlamentare assolutamente legittima e, se si deve avviare un dialogo costruttivo e allargato a tutte le parti, non vedo perché non debba essere coinvolto.

D. – La piazza ha detto “no” al golpe, ma anche “no” ai diktat. Come si concilia il volere della gente con le intenzioni del Presidente?

R. – È molto difficile, perché di fatto la piazza ieri era divisa in due: per la prima volta, era occupata – a dieci giorni dal golpe – dalle forze della sinistra del Partito socialdemocratico, che diceva: “Siamo per la democrazia, non siamo per i colpi di Stato”. Dopo un’ora di discorso del leader del Chp Kemal Kilicdaroglu, la manifestazione si è sciolta pacificamente e dopo, invece, è stata la volta dei sostenitori del Partito conservatore di ispirazione religiosa che è al potere in Turchia da ormai 14 anni e che dalla sera del fallito golpe continuano a stare per le strade e a manifestare. Certo, se le due parti fossero venute a contatto, sarebbe stato molto problematico.

D. – I media pro-Erdogan accusano la Cia di avere finanziato il golpe: quante altre verità usciranno?

R. – Sono verità che vanno provate. Ovviamente, il Presidente Erdogan si è scagliato con molta forza contro il predicatore islamico che ormai da molti anni vive in Pennsylvania – Fetullah Gülen – e quindi adesso sta procedendo anche ad arresti di decine di giornalisti, non solo i professori, i magistrati … Oggi, un giornale filo-governativo porta il coinvolgimento di un alto ufficiale americano. La tesi che viene sostenuta da Ankara è che l’America sapesse e che abbia, in un certo modo, agevolato il golpe portato avanti – secondo le autorità turche – da Fetullah Gülen. A sostegno di questo, ci vogliono delle prove. Ankara chiede fortemente l’estradizione di Gülen in Turchia: la pena di morte non viene eseguita ormai da 30 anni - è stata eliminata ufficialmente nel 2004 - ma oggi la situazione in Turchia si è talmente incattivita e incrudelita che lo stesso Presidente ha prospettato il fatto di poter tornare alla pena di morte qualora il Parlamento decida in questo senso. E vediamo anche quali sono le reazioni dell’Europa – anche di Juncker - che ha detto: “Mai la Turchia in Europa, nel momento in cui Ankara dovesse applicare nuovamente la pena di morte”.








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