2016-07-27 15:38:00

Tomasi: all'odio e alla violenza l'Europa risponda con la fraternità


E’ stata l’occasione per acclamare mons. Robert Vitillo quale nuovo Segretario generale dell’International Catholic Migration Commission (Icmc), ma anche il momento per fare il punto sull’azione dell’organismo della Chiesa a sostegno dei migranti e dei profughi. Alla 118.ma riunione dell’Icmc, ieri a Roma, ha preso parte mons. Silvano Maria Tomasi, in rappresentanza della Santa Sede, Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – La Chiesa, attraverso le organizzazioni come questa della Commissione cattolica internazionale per le migrazioni, come la Caritas o il servizio di parrocchie e di diocesi, è una risposta efficace, sistematica, generosa a questo mondo in movimento, fatto di milioni di persone che vengono continuamente spinte fuori dal loro Paese, perché ciò che manca è proprio una di soluzione politica ed economica alle ingiustizie che vediamo nel mondo di oggi.

D. – Mons. Tomasi, di fronte ai milioni di sfollati e di profughi che sono purtroppo il prodotto di tutte le guerre che in questo momento insanguinano il Pianeta, l’Europa si sta chiudendo sempre di più, vittima soprattutto della paura per il ripetersi degli episodi di violenza. Questa, forse, è la vera grande sfida per questo continente?

R. – Il Santo Padre Francesco ci ricorda continuamente il dovere dell’accoglienza. Certo, l’Europa è un continente che ha paura in questo momento, però dobbiamo essere molto prudenti nell’analizzare quello che sta avvenendo attorno a noi. Anzitutto dobbiamo mantenere un atteggiamento di fraternità e di apertura al dialogo, perché il dialogo è la sola strada che porta alla convivenza pacifica. Dobbiamo riflettere sul fatto che questi giovani della seconda e terza generazione, nati e cresciuti in Europa, e ora adescati dal cosiddetto Stato Islamico, hanno perso la vera conoscenza di quello che è l’islam come religione, si sono lasciati dominare dalle frustrazioni, spesso generate dalle loro condizioni sociali, perché vivono troppo spesso in ghetti che non permettono loro una educazione, un impiego ed una opportunità uguale al resto della popolazione. Dobbiamo anche considerare che non basta discutere di quante persone dobbiamo accettare: dobbiamo accogliere per ragioni etiche e legali, perché tutti i Paesi d’Europa hanno firmato la Convenzione sui rifugiati, le persone che hanno bisogno di protezione. Fatto questo, dobbiamo poi pensare al secondo passo, che è quello dell’integrazione. Per integrare queste nuove comunità è importante che accettino dei valori fondamentali, in modo che si possa convivere democraticamente in un contesto sociale e culturale che rispetti l’identità delle persone e che – allo stesso tempo - dia gli stessi diritti e doveri ad ogni cittadino. Se noi non portiamo avanti questa seconda fase dell’integrazione avremo sempre problemi di convivenza, che porteranno coloro che sono ai margini della società, a margini delle nostre grandi città, a vedere nel fondamentalismo islamico, o cosiddetto islamico, la soluzione ai loro problemi e un modo per affermare la propria personalità.

D. – Mons. Tomasi, quello che il Papa da sempre rifiuta è definire quello che accade “guerra di religione”. Ma che tipo di interpretazione dare a quanto accaduto nella chiesa di Rouen? E’ stato un atto di violenza nei confronti di un uomo rappresentante di Dio…

R. – La tragedia di Rouen rappresenta, in un certo senso, una escalation della violenza, quasi una sfida al cuore stesso dei valori e della sensibilità del mondo europeo. Un altro sforzo, ancora più grande, di incutere paura, di bloccare il dialogo e di fare così in modo che venga accettata dalla gente comune la tentazione di dire che non si può convivere e che bisogna rispondere con la forza. Questo sarebbe un suicidio per l’Europa! Bisogna continuare a camminare sulla strada della fraternità e cercare di capire che questo tentativo ultimo di spingere ad una reazione violenta la popolazione, toccando le corde più delicate, come sono - appunto - quelle della convinzione religiosa, diventa una provocazione che non dobbiamo accettare. Noi vinceremo la battaglia contro l’estremismo, contro l’odio che imperversa, solo con una risposta completamente diversa, che è quella della fraternità, dell’amore, del rispetto reciproco, cercando di fare in modo che le condizioni sociali, che possono rappresentare una scusa per questi giovani della seconda e terza generazione di emigrati venuti da Paesi in maggioranza islamica, non siano una causa di frustrazione ma che vengano corrette in modo che ci sia uguaglianza nella società.

La Commissione cattolica internazionale per le migrazioni (Icmc), nata nel 1951 con l’incoraggiamento e il sostegno dell’allora mons. Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI, è una delle attività di servizio che la Chiesa cattolica esercita in questo momento ai milioni di persone che per ragioni di estrema povertà e, soprattutto, a causa della violenza, sono sulle strade del mondo. L’Icmc si avvale del lavoro di 500 persone sul terreno che aiutano decine di migliaia di rifugiati e di persone.








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