2016-07-30 11:49:00

Turchia. Erdogan: l'Occidente "si faccia gli affari suoi"


“L’Occidente si faccia gli affari suoi”. Così Recep Tayyip Erdogan dal palazzo presidenziale di Ankara, ha sottolineato come nessun membro di alcun governo occidentale deve interferire con le misure repressive adottate in Turchia dopo il fallito golpe del 15 luglio. Nel Paese continuano le epurazioni e le ritorsioni nei confronti dei presunti golpisti: passaporti revocati a oltre 49 mila persone sospette di legami con Fethullah Gulen, accusato di essere la mente del tentato colpo di stato. Gioia Tagliente ne ha parlato con il giornalista Alberto Rosselli:

R. – Il fallito golpe e soprattutto i metodi repressivi che sono stati impiegati per sedare quello che è stato il terremoto interno turco, i metodi adoperati da Erdogan, dimostrano una deriva di tipo autoritaria che sta avvenendo in questo momento in Turchia e che idealmente stacca sempre di più la Turchia da quello che è il concetto, per noi convenuto, di civiltà.

D. – Qual è la strategia di Erdogan?

R. – Il fatto che Erdogan si sia in qualche modo irritato per le critiche che gli sono state fatte, in seguito ai numerosissimi arresti, alla decapitazione praticamente del 40% dell’establishment militare, che è garante della Costituzione taturkista, il ritiro dei 50 mila passaporti, gli arresti dei giornalisti che sono avvenuti. Tutto questo non dà adito a nessun’altra ipotesi: la Turchia si sta avviando verso il consolidamento di un regime assolutamente autocratico e imbevuto, tra l’altro, di una forte componente islamica. Quindi, l’irritabilità, in qualche modo, che si può intravvedere dalle dichiarazioni, soprattutto quelle recenti, di Erdogan nei confronti degli Stati Uniti e nella fattispecie nei confronti di Jozef Votel, che si è permesso di criticare l’atteggiamento di Erdogan nei confronti dei militari turchi, lascia intravvedere sicuramente una non compatibilità e non soltanto una non compatibilità politica fra la Turchia e il resto dell’Occidente, ma una non compatibilità con quelli che sono i principi del diritto.

D. – Nonostante tutto, l’Unione Europea ha bisogno della Turchia, essendo un importante intermediario con i Paesi euroasiatici, soprattutto per fronteggiare il problema migrazione...

R. – Teoricamente sì. La Turchia è un ponte che collega, proprio dal punto di vista geopolitico, quello che è il mondo occidentale al mondo mediorientale e asiatico. Certo è che se questo ponte viene governato secondo criteri democratici e convenienti, può essere un ponte utile per l’Occidente, ma se viene governato con un criteri autoritari e quasi dittatoriali, io non riesco a immaginare l’utilità di questo ponte. Anche perché, all’indomani dell’incasso di 6 miliardi di euro da parte del governo turco, non sappiamo ancora come questi soldi siano stati impiegati per l’emergenza profughi, né tantomeno Erdogan pensa di voler spiegare in che modo impiegherà questo denaro. Quindi, è giusta la domanda: nel senso che effettivamente la Turchia potrebbe essere un ponte utile se fosse governata da qualcun altro e non certo dal presidente Erdogan.








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