2016-08-06 12:54:00

Somalia, mons. Bertin riconsacra una chiesa ad Hargeisa


Una piccola chiesa della Somalia dedicata a Sant’Antonio di Padova rinasce questa domenica nel cuore della valle dove sorge Hargeisa, nel Somaliland, in una terra abitata da una stragrande maggioranza di musulmani. A celebrare il rito di riconsacrazione, mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio. Al microfono di Giada Aquilino il missionario francescano, da quasi quarant’anni in Somalia, racconta come si sia arrivati a questo momento di gioia per la piccola comunità cattolica locale e non solo:

R. – Durante la Messa domenicale, ci saranno un sacerdote, stabile ormai da febbraio, due volontari della Caritas e alcuni fedeli cattolici stranieri che lavorano in diverse organizzazioni ad Hargeisa. Nel corso della celebrazione, guiderò il rito della dedicazione e riconsacrazione della chiesa e in particolare del nuovo altare, perché il precedente era stato completamente distrutto.

D. - Qual è la storia della chiesa?

R. - Fu costruita intorno al 1950 dai Cappuccini. Dagli anni Ottanta venivo in questa chiesetta almeno due o tre volte l’anno, soprattutto intorno a Natale e a Pasqua. Almeno fino all’aprile del 1988, quando in questa parte del Paese ci fu una ribellione contro l’autorità centrale di Mogadiscio: la chiesetta venne presa, saccheggiata e qualcuno iniziò ad abitarci. Nel 1996 riuscii, insieme ad un mio collaboratore somalo che lavorava per la Caritas Somalia, a ricuperare il terreno, l’edificio di culto e la casa che serviva da abitazione per il sacerdote. Però, a causa dell’insicurezza generale del Paese, questa chiesetta non fu mai utilizzata. Finalmente nel gennaio scorso, vista la situazione più tranquilla qui ad Hargeisa, ho deciso di incontrare le autorità del posto, dicendo loro che desideravo riaprire la chiesa per prestare il servizio religioso al personale cattolico impegnato nel Paese e, nello stesso tempo, per iniziare anche delle attività umanitarie attraverso la nostra Caritas.

D. - Che segno si vuole dare con la riconsacrazione di questa chiesa alla zona?

R. - Verso la comunità cattolica è un segno di servizio - sono quasi tutti operatori umanitari - e un invito a vivere bene la loro dimensione cristiana di testimonianza. D’altro canto per la popolazione locale e per il cosiddetto governo locale è un segno di fiducia e di rispetto nei loro confronti, in quanto hanno acconsentito a farci utilizzare la chiesa. Ciò dimostra che questa parte della Somalia, il Somaliland, resta rispettoso del diritto di culto che hanno i non musulmani. Il Paese - lo ricordiamo - è totalmente musulmano.

D. - Nel Paese tra l’altro continuano gli attacchi degli estremisti al Shabaab. Che momento è per la Somalia?

R. - Gli al Shabaab continuano i loro attacchi: particolarmente nel sud, a Mogadiscio, c’è una presenza significativa di al Shabaab, ma anche del sedicente Stato Islamico, ultimamente. Il centro-sud continua a rimanere relativamente insicuro. In più a Mogadiscio è un momento politicamente instabile, perché prossimamente dovrebbero esserci le elezioni parlamentari.

D. - L’emergenza migranti riguarda in molta parte somali che tentano di raggiungere l’Europa e purtroppo spesso muoiono nella traversata del Mediterraneo. Perché scappano? Cosa cercano?

R. - Scappano dalla Somalia perché cercano una vita migliore, cercano rispetto per i loro diritti e una maggiore libertà personale.

D. - Come la Chiesa locale è vicina a queste persone, anche attraverso la Caritas?

R. - Stiamo cercando, con diversi progetti, di favorire la formazione dei giovani, di dare loro opportunità di lavoro. Ad esempio a Mogadiscio abbiamo aperto dei corsi di formazione in idraulica ed elettricità, oltre ad occuparci dell’aspetto sanitario. Abbiamo tra l’altro usufruito di uno dei micro-progetti che Caritas Italiana, Missio Italia e la Focsiv hanno organizzato. Abbiamo già ricevuto un piccolo aiuto in questo senso per aiutare queste persone a rimanere nel loro Paese.








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