2016-08-10 14:55:00

Si combatte in Ucraina. Il nunzio: "Difficile situazione umanitaria"


Nell’est dell’Ucraina, nonostante il cessate-il-fuoco raggiunto nel 2015 con gli accordi di Minsk, ci sono ancora combattimenti. Difficile anche la situazione umanitaria, soprattutto per le fasce più vulnerabili della popolazione. Dall’inizio del conflitto sono circa 9.500 le vittime, mentre sono 800 mila le persone bisognose di assistenza nelle zone in cui si combatte e nelle immediate vicinanze. Difficile è anche l’accessibilità degli aiuti umanitari in queste zone. Pochi giorni fa, per la prima volta in cinque mesi, i convogli dell’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, hanno raggiunto le popolazioni nelle zona non controllata dal governo nella regione di Luhansk. Sono stati distribuiti materiali da costruzione di vitale importanza per le migliaia di persone le cui abitazioni sono state danneggiate o distrutte durante il conflitto. Sulla situazione nell’est del Paese, Elvira Ragosta ha raggiunto telefonicamente il nunzio apostolico in Ucraina, mons. Claudio Gugerotti:

R. – Purtroppo, la situazione negli ultimi giorni è peggiorata. Sono ripresi i conflitti armati e anche le vittime.

D. – Per quanto riguarda la situazione umanitaria, quali sono le maggiori necessità?

R. – L’assistenza di coloro che vivono nella zona dove si confrontano i due contingenti: quello dei separatisti e quello dell’esercito ucraino. È una zona disseminata di mine, anche portare gli aiuti è molto difficile, perché si rischia di saltare per aria. In quella zona poi continuano i bombardamenti, molte case vengono scoperchiate e le persone sono sostanzialmente isolate. Le altre due fasce più colpite sono coloro che vivono nella zona sotto il controllo dei separatisti, perché sono soprattutto anziani. La terza fascia è quella dei profughi che sono in Ucraina, certamente più di un milione.

D. – Come per ogni guerra, le vittime più indifese sono le donne, i bambini, gli anziani: cosa si può fare per loro?

R. – Questo, infatti, è anche l’oggetto principale dell’attenzione della commissione che il Santo Padre ha istituito per distribuire il grande aiuto umanitario che ha fatto avere all’Ucraina. Esistono molte mamme che sono rimaste sole con i bambini, perché il marito o è in guerra o comunque ha lasciato la famiglia. Queste mamme naturalmente, avendo bambini piccoli, non possono generalmente avere un lavoro e quindi ne va della sopravvivenza del nucleo familiare. L’altra categoria molto a rischio è quella degli anziani, i quali non sono praticamente assistiti: hanno molto spesso la casa distrutta o gravemente danneggiata, difficoltà ad accedere al cibo e soprattutto una enorme difficoltà ad accedere ai medicinali salvavita. Quanto poi alla trasmissione degli aiuti nelle varie zone, questa è resa particolarmente difficile.

D. – Quanto è difficile l’arrivo degli aiuti da parte delle Ong, della Chiesa, in quelle zone che sono interessate dal conflitto o nelle zone di confine?

R. – È molto difficile. La parte sotto controllo ucraino ha una raggiungibilità relativamente più facile, ma nella parte della cosiddetta “zona grigia” - quella intorno alla linea di demarcazione - e soprattutto nella zona sotto il controllo delle autorità “de facto”, la cosa è molto difficile anche perché è stata cambiata la valuta. Poi c’è un meccanismo molto rigoroso per il riconoscimento delle organizzazioni che hanno il permesso di accedere e distribuire. In questa zona le difficoltà sono particolarmente gravi anche per noi: riusciamo, in qualche modo, a programmare aiuti, che dovrebbero partire alla fine di agosto, solo attraverso l’aiuto delle Nazioni Unite.

D. – Quello ucraino è un conflitto che dal 2014 ha provocato oltre 9.500 morti. Due milioni di persone hanno dovuto abbandonare la loro casa. Sembra oggi essere diventato un conflitto sopito, perché l’attenzione mediatica si è spostata su altre latitudini. Ma sicuramente, l’appello di aprile di Papa Francesco e la colletta promossa per l’Ucraina hanno riportato un po’ l’attenzione su questo Paese…

R. – Certamente. L’operazione che ha voluto il Santo Padre è anzitutto un’operazione umanitaria e la gente è molto sensibile a questo intervento del Papa, il quale ha dato anche una grossa offerta personale. E devo dire che anche l’Europa ha contribuito con una certa generosità. Indubbiamente, c’è stata una crescita dell’attenzione a quest’area. Bisogna anche dire che, per ragioni politiche, non è di moda parlare dell’Ucraina perché questa è una terra che ha peggiorato, diciamo, le difficoltà esistenti tra Stati Uniti e Europa, da una parte, e Russia dall’altra, mettendo in scacco entrambe. E quindi parlarne è come parlare dei propri fallimenti. E io non credo che questo silenzio sia totalmente spontaneo: nel senso che l’Ucraina, che evidentemente ruotava nell’area della Federazione Russa, ha deciso, anche per una pressione indubbiamente delle comunità occidentali, di rivolgersi verso Europa e Stati Uniti. C’è stato il fenomeno di Maidan, c’è stata quindi “de facto” una separazione dalla Russia con tutta la ricaduta dal punto di vista economico. Ma dall’altra parte, per varie ragioni che sarebbero lunghe da spiegare, l’Occidente non è subentrato al posto della Russia per tentare di rendere agibile la vita delle persone di qui. Per cui, in questo momento l’Ucraina ha perso su tutti i fronti. Un elemento che dà un’idea è che lo stipendio, che prima di Maidan era a 100, oggi è a 25 come valore. Quindi, al problema della guerra si aggiunge un aumento della povertà generale della popolazione in tutta l’Ucraina. E il rischio è che, se questa situazione non si sblocca, nasca una guerra tra poveri.








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