2016-08-11 13:28:00

Sudan, i ribelli d'accordo su una roadmap per la pace


Se nel Sud Sudan rimane alta la tensione a causa dei contnui scontri tra l’esercito regolare del presidente Salva Kiir e le milizie del suo antagonista Riek Machar, nel Sudan la situazione sembrerebbe aver trovato la via della pace. Infatti, i principali gruppi ribelli sudanesi hanno firmato una tregua, promossa dall’Unione Africana, per porre fine ai conflitti nelle tre principali regioni: Darfur, Nilo Azzurro e Sud Kordofan. "La priorità assoluta è fermare le guerre e fornire aiuti umanitari alle popolazioni colpite", è scritto in un comunicato firmato dal gruppo di sudanesi che hanno firmato l’intesa. In questi anni, decine di migliaia di persone sono state uccise e milioni sono state costrette a lasciare le loro abitazioni nelle tre regioni colpite dalla guerra. Sull'intesa ascoltiamo il commento del padre comboniano Giulio Albanese, direttore delle riviste delle Pontificie Opere Missionarie, al microfono di Michele Ungolo:

R. – Tutto va preso con il beneficio di inventario anche perché poi bisogna vedere se si riesce a passare dalle parole, dalle buone intenzioni ai fatti. 

D. - Cosa accade in questo momento in Sudan e nel Sud Sudan? 

R. - Se mettiamo insieme il Nord e il Sud, il Sudan ricopre una superficie di circa due milioni e 500mila chilometri quadrati; quando era unito era il più grande Paese africano. Ora è chiaro che in alcune zone c’è una relativa calma, in altre c’è una grande instabilità. Chiaramente le zone più nevralgiche sono quelle petrolifere, penso a tutta la zona dell’Upper Nile per non parlare poi della capitale del Sud Sudan, Juba, perché anche lì la situazione certamente è tesa. Nel Sud, se si vogliono davvero fare le cose sul serio bisognerebbe procedere ad un’opera di smilitarizzazione di quelle componenti più riottose all’interno dei due schieramenti. La verità è che a pagare il prezzo più alto è la povera gente, penso soprattutto ai civili, donne, anziani, bambini … Ci troviamo di fronte a generazioni e generazioni di sud-sudanesi che sono nati, cresciuti, alcuni di loro addirittura già morti, nel corso di decenni di guerre civili. Questa è una maledizione che si sta procrastinando nel tempo.

D. - In Sud Sudan quali sono le speranze di pacificazione?

R. - In questi giorni si è parlato della presenza di un contingente delle Nazioni Unite che in una maniera o nell’altra potesse rappresentare e costituire un’ulteriore forza di interposizione rispetto a quello che è il contingente già presente oggi in Sud Sudan. Il problema è che il governo di Juba non ne vuole sapere e questo dimostra che non c’è la volontà politica. Il vero problema di fondo è che sta crescendo la presenza dei militari ugandesi. In altre parole, l’esercito regolare di Kampala sta prendendo sempre di più il controllo di alcuni posti strategici del Sudan meridionale. La vera rivalità è rappresentata da queste “antiche ruggini” tra il presidente Salva Kiir  il suo rivale Riek Machar. Finché questi due signori non si mettono in testa che devono farsi da parte, chiaramente la situazione rimarrà sempre molto, molto precaria.

D. - Che cosa porta l’uomo a farsi la guerra dove ci sono bambini che possono essere colpiti?

R. - Purtroppo quando ci si trova in un contesto bellico si afferma l’egoismo, la violenza, la riottosità, quindi c’è tanta umanità dolente che viene immolata sull’altare dell’egoismo. Ma è chiaro che non ci sono giustificazioni. La verità è che molti ragazzi vengono arruolati, costretti ad imbracciare un fucile e tutte quelle che sono le considerazioni legate al buonsenso saltano nel momento in cui ci si trova in situazioni dove gli interessi di parte prendono drammaticamente il sopravvento. Ma questo è vero per il Sudan e per tutte le periferie del mondo. Come diceva il grande Carlo Levi: la sola ragione della guerra è di non avere ragione, perché dove è ragione non v’è guerra; che le guerre vere ed efficaci sono solo le guerre ingiuste e che le vittime innocenti - donne, anziani e bambini - sono le più utili e di odor soave al nutrimento degli dei. E questa è idolatria, perché la guerra purtroppo è la risultante dell’idolatria.








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