2016-08-13 13:29:00

Libia: dopo la riconquista di Sirte, il governo cerca unità


In Libia la riconquista di Sirte, roccaforte dello Stato islamico nel Paese, è ormai nella fase finale. Ieri sono stati cinque i raid sulla città della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, 41 dall’inizio del mese. “I raid aerei non possono sconfiggere l’Is. La lotta deve essere condotta dai libici e realizzata con truppe di terra”, ha detto l’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler. Cruciale è ora il ruolo del governo libico di unità nazionale, non riconosciuto da molte delle forze politiche in cui è frammentata la Libia, come spiega Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università cattolica di Milano, al microfono di Michele Raviart:

R. – Di certo, è un’ottima notizia la sconfitta delle milizie jihadiste del sedicente Stato islamico, anche se aspettiamo a dire che sia definitiva. In realtà, infatti, l’Is era al tempo stesso una minaccia ma anche il sintomo di un disagio, perché a combattere sotto le insegne nere del Califfato vi erano gruppi che non erano per nulla jihadisti. Vi erano anche gruppi di milizie ex gheddafiane, ostili al nuovo corso. E quindi l’Is in Libia era soprattutto il sintomo di una forte disgregazione statuale. Positivo che sia stato sconfitto a Sirte, ma – attenzione – se non si risolve politicamente la situazione libica, questo disagio può riemergere e quindi vi potranno essere altri focolai di rivolta contro il governo legittimo, che è tuttora debolissimo, non riconosciuto da tutti gli attori. E quindi ci potrà essere una ripresa di forte presenza jihadista nel Paese.

D. – Qual è il futuro nella situazione politica del Paese? E la lotta all’Is poteva essere considerata un collante?

R. – Da un lato, la lotta all’Is era uno dei pochi elementi di convergenza in un Paese davvero frantumato a livello politico, tra rivalità regionali e provinciali, differenze politiche e ideologiche, ambizioni personali… Detto questo, quello che ora è fondamentale è sostenere con forza il governo Al Sarraj, nato per volontà dell’Onu, e soprattutto per il grande impegno diretto dell’Italia. Ed è fondamentale anche cercare di trovare un compromesso con tutte le forze, soprattutto con il generale Haftar, che ancora oggi si rifiutano di riconoscerlo.

D. – L’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler, ha detto che la popolarità del governo si sta sgretolando per forti black-out elettrici, svalutazioni della moneta locale, mancanza di avvio dell’economia. Qual è la situazione economica, e per la popolazione civile in questo momento?

R. – La situazione è molto difficile. La Libia era un Paese in verità facile da amministrare, perché, all’indomani della caduta di Gheddafi, aveva tantissima liquidità in cassa, pochi abitanti e un’alta produzione petrolifera. Le incertezze, le lotte continue, la paralisi, hanno causato il progressivo collasso economico e della sicurezza. Per cui, nella vita quotidiana, ai libici spesso interessa poco che il primo ministro si chiami in un modo o in un altro, che sia di una corrente politica o di un’altra, ma vedono il disfacimento economico e soprattutto la mancanza e l’impunità delle bande criminali. È evidente che si può ricominciare solo se tutte le maggiori fazioni si mettono d’accordo nel riconoscere un unico governo.

D. – Quanto è importante il riavvio del ciclo di produzione del petrolio, al quale sono interessati molti dei Paesi importatori, molti dei quali fanno parte della coalizione internazionale che sta sostenendo il governo di unità nazionale?

R. – Senza flusso di petrolio la Libia non vive, non ha liquidità. Ma, oltre al flusso di petrolio, è evidente che è importante anche capire la distribuzione dei proventi derivanti da esso. Bisogna ridurre l’enorme corruzione, la dissipazione di denaro e di risorse fresche. Bisogna far sì che vi sia un centro politico capace di amministrare i proventi del petrolio e di riversarli sulla popolazione, cosa che finora non è successa.








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