2016-08-20 13:51:00

Il nunzio in Iraq: tanti soldi per le armi, pochi per le persone


Le “popolazioni che in tante parti del mondo sono vittime innocenti di persistenti conflitti”, gente che “non ha peso nell’opinione pubblica”. Ne ha parlato il Papa nella festa dell’Assunta, il 15 agosto scorso, invocando compassione, comprensione, pace e concordia. Tra loro ci sono milioni di profughi iracheni, ridotti alla fame, provati nella fede e separati dalle famiglie, a causa della guerra. “Una situazione difficile, in cui i cristiani sono pronti a impegnarsi”: è quanto spiega al microfono di Gabriella Ceraso il nunzio apostolico in Iraq, mons. Alberto Ortega Martín:

R.- Sì, c’è la difficile situazione umanitaria per il numero grandissimo di sfollati che sono circa tre milioni e mezzo, in una situazione di crisi economica forte e con tante sfide che il Paese deve affrontare. Purtroppo le Nazioni Unite si sono impegnate, ma la richiesta di soldi è stata coperta soltanto in parte, non arriva nemmeno alla metà dei bisogni presentati. Come il Papa ha denunciato tante volte, si usano tanti soldi per le armi e non si usano nella stessa misura per la persona concreta e i suoi bisogni.

D. - Cosa accade delle famiglie? Sappiamo spesso che chi va via, chi viene e chi esce dalla città prima tenute dall’Is, poi subisce anche a livello famigliare una divisone: gli uomini vengono controllati in una certa maniera separandoli dalle donne e dai bambini. È una realtà che riguarda anche l’Iraq …

R. - Sì, è una situazione un po’ delicata perché in alcune zone quando escono questi sfollati - perché c’è l’attacco dell’esercito delle altre forze -  hanno paura che tra questi ci siano anche dei terroristi, dei membri dell’Is. Sotto questo aspetto è stato effettuato un controllo per evitare che escano in mezzo alla popolazione civile anche i membri dell’Is o gente collegata a loro. Stanno cercando di portare avanti indagini ma purtroppo non sempre è stato fatto con l’attenzione e con il rispetto dei diritti che andrebbe seguito in queste situazioni particolari. A livello famigliare si creano delle situazioni difficili. Per le donne e per i bambini è facile uscire, per gli uomini a volte devono fare questi controlli che con il tempo cercheranno di effettuare al meglio possibile perché ci sono state alcune critiche e infatti è stata anche aperta un’inchiesta per verificare e trovare il modo migliore per portare avanti queste azioni di controllo.

D. - Voi come Chiesa riuscite ad arrivare a raggiungere i campi profughi? Sappiamo che spesso, lo dice anche Amnesty, sono privi di tutto...

R. - Si cerca di fare il più possibile tramite la Caritas, adesso a poco a poco molti di loro, soprattutto cristiani, sono in case affittate che erano pensate per una famiglia e invece ce ne sono due o tre, ma almeno hanno un tetto. Certo hanno bisogno ancora di aiuto per l'affitto e per mantenersi, per il cibo e i beni di prima necessità ...l'ideale, e ci sono già progetti al riguardo, è fare in modo che possano guadagnarsi uno stipendio e integrarsi di più. Ma grazie a Dio in questi campi ce ne sono sempre di meno.

D. - Ci può dire quale è la situazione in generale dei cristiani?

R. - Hanno sofferto tanto. A Mosul e nella zona della Piana di Ninive, tutti se ne sono andati. Molti sono andati all'estero, tanti in Kurdistan. Purtroppo è diminuita la presenza cristiana nel Paese, ma tanti restano ancora anche a Baghdad. E noi cerchiamo di incoraggiarli e dar loro speranza perchè pensiamo che la loro presenza sia importantissima non solo per la Chiesa, ma anche per la società. D' altra parte se vogliono rimanere hanno bisogno di sicurezza, di lavoro, di un'abitazione.

D. - La prossima tappa di cui tanto si parla per l'Iraq è l'offensiva su Mosul, ancora roccaforte dell'Is.Ci sono timori che questa offensiva possa aggravare ancor di più la situazione umanitaria. E' così?

R. - A livello umanitario si aspetta una crisi molto forte e si fanno preparativi perchè non si può improvvisare la risposta. Nello scenario più prevedibilie potrebbe esserci anche un milione di sfollati in pochissimo tempo. Una situazione di emergenza che non ha pari nella storia recente. Sarà una grandissima sfida.

D. - Lei è arrivato da pochi mesi ad abbracciare questo popolo e questo Paese. Che idea si è fatto del suo presente e del suo futuro?

R. - E' un Paese che ha tante possibilità, come capacità è ricco, ma purtroppo vive una situazione di crisi .E la grande sfida, mi accorgo sempre di più, è la riconcilizione: a parte il cercare di sconfiggere l'estremismo, occorre andare alla radice, per costruire insieme una società in cui tutti hanno un posto, dove lavorano insieme, dove c'è dialogo. In questo si gioca il futuro del Paese e a questo futuro i cristiani, pur numericamente in minoranza, vogliono offrire un contibuto indispensabile.

D. - Da parte delle autorità sente che c'è collaborazione?

R. - E' un momento difficile a livello istituzionale: vogliono cambiare il governo e ci sono difficoltà anche in Parlamento, è per questo che dico che la sfida grande è la riconcilizaione, a cominciare dalla classe politica che dovrebbe dare un esempio di collaborazione per il bene comune, perchè è l'unico modo per portare avanti il Paese 

D. - Quindi lei si sarà  reso conto anche del peso che la Chiesa ha nel Paese? 

R. - Si sotto questo aspetto, fa soprattutto da modello, da esempio da incoraggiamento e successivamente forse anche offrendo gente capace di dare il suo contributo. I cristiani sono sempre chiaramente artefici di pace, ricchezza, sviluppo ed è un ruolo che vogliono svolgere insieme alle persone di altre religioni 

D. - Lei che obiettivi si è posto arrivando in Nunziatura?

R. - Cercare di imparare il più possibile, imparare anche dalla testimonianza di questi cristiani stupendi, che hanno perso tutto per mantenere la loro fede; e cercare di mostrare la vicinanza molto vera del Santo Padre e della Chiesa. Vicinanza, preoccupazione e aiuto, e poi incoraggiare anche con una buona parola le autorità a collaborare insieme e a favorire la pace.








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