2016-08-22 13:33:00

Conferenza Istituti secolari: non ripiegarsi su contesti più facili


Formazione e identità al centro dell’Assemblea generale della Conferenza mondiale degli Istituti secolari in corso a Roma da ieri fino al prossimo 25 agosto. L’appuntamento, a cadenza quadriennale, prevede l’elezione per il rinnovamento del consiglio esecutivo e del consiglio di presidenza e vede la partecipazione di oltre 140 persone provenienti da tutto il mondo. Ma cos’è un istituto di vita secolare e quali le sfide oggi? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Giorgio Maria Mazzola, consigliere di presidenza alla Conferenza:

R. – L’istituto secolare è un istituto di vita consacrata, che riunisce laici e presbiteri, i quali accolgono il cammino dei consigli evangelici nella Chiesa, ma intendono vivere questo cammino nel mondo e - direi - a partire dal mondo. E’ una vocazione, quindi, che riunisce laici che vivono della loro professione nel loro contesto di vita, nella loro famiglia di origine, che comunque rimangono assolutamente nel loro contesto di vita consueto e sono testimoni della vita consacrata in quel contesto, per far capire come il mondo è davvero amato dal Signore tutto intero. Ogni realtà umana è un modo di dar gloria a Dio.

D. – Verginità, povertà e obbedienza: i tre pilastri…

R. – Sì, i tre consigli evangelici fondamentali sono anche quelli degli istituti secolari. Ad un membro dell’istituto secolare non è richiesto di lasciare i beni, ma piuttosto di amministrarli e soprattutto di non attaccare il cuore a quei beni. Anche in questo, quindi, può essere una testimonianza importante.

D. – Quest’anno riflettete in particolare sui temi della formazione e dell’identità. Perché questi temi sono tanto importanti?

R. – La formazione, perché come Papa Francesco ha detto: “Voi siete senza vita in comune, senza opere visibili…”. La nostra vera opera, la nostra vera e unica opera dovrebbe essere la formazione. E bisogna capire come vivere diverse realtà professionali, amministrative, politiche, da cristiani. Per quanto riguarda il tema della identità, gli istituti secolari devono in qualche modo recuperare la loro identità originaria. Anche noi, un po’ come tanta parte della Chiesa, stiamo correndo questo rischio di ripiegarci su contesti più facili, su contesti più protetti, su attività infra-ecclesiali. Naturalmente noi dobbiamo servire la Chiesa, ma il primo modo per farlo è quello di vivere davvero nel mondo e del mondo. Un’evangelizzazione che passa soprattutto dal modo di fare, più che dalle parole. Però è un’evangelizzazione importantissima, perché appunto è inserita in contesti normali: del lavoro, della politica, dell’amministrazione. Il nostro modo di evangelizzare, quindi, è soprattutto quello e direi anche quello di constatare come spessissimo la vita contenga già degli elementi di vita evangelica, che vanno solo riconosciuti, perché lo Spirito agisce dove vuole e come vuole.

D. – Non c’è un segno esteriore, un abito che vi contraddistingue: il vostro “essere presenti” tra la gente, porta alla luce, secondo lei, un desiderio di Dio da parte degli uomini e delle donne che incontrate?

R. – Questo dipende da quanto siamo fedeli. Se siamo fedeli, certamente sì. Devo dire che nella mia vita è successo più di una volta che delle persone avessero intuito qualcosa. Ricordo proprio delle manifestazioni di qualcuno che diceva: “Il tuo modo di fare è pacifico, sai tenere un occhio più distante, sereno, rispetto a quanto che sta succedendo”. Tra l’altro, devo dire, nella mia vita questo è successo più frequentemente con non credenti.

D. – Lo ha potuto sperimentare in ambito professionale, lavorativo?

R. – Sì, in queste persone, una volta che intuiscono che c’è questo tipo di scelta, ho notato una curiosità positiva. Queste persone sono contente della nostra presenza, semplicemente.

D. – In un mondo che tende a relegare l’aspetto religioso nel privato, che cosa vuol dire testimoniare, far parte di un istituto secolare?

R. – Questa è esattamente la questione che, se vogliamo, ha dato vita a questa intuizione degli istituti secolari, cioè quella di mostrare concretamente come fede e vita possano stare assieme.

D. – E’ quindi una vocazione fortemente legata alla realtà di oggi…

R. – Sì, è fortemente attuale. Quando uno consegna la propria vita al Signore in questo modo, consegna anche i risultati, cioè non si attende grandi ritorni. A mio modo di vedere, questa vocazione è attualissima.








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