2016-08-22 14:13:00

Merkel, Renzi e Holland a Ventotene per rilanciare l'Ue


Sull’isola di Ventotene su apre il vertice tra Matteo Renzi, Angela Merkel e Francois Hollande per mettere a punto il rilancio dell’Unione Europea dopo la Brexit. Sul tappeto dei colloqui di oggi pomeriggio anche crescita, lavoro, flessibilità, sicurezza, governance e immigrazione. Il servizio di Marco Guerra:

I leader dei tre principali Paesi dell’Unione Europea si incontrano per dare una risposta alla profonda crisi di fiducia nelle istituzioni comunitarie culminata con il referendum dello scorso giugno che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. I dossier in agenda sono gli stessi del precedente incontro a Berlino: sicurezza e difesa, crescita e investimenti, la crisi migratoria. Temi che saranno discussi alla luce dei fatti recenti che hanno segnato l’estate come le relazioni Ue-Turchia, il fronte libico e l’evoluzione della guerra in Siria. Centrale sarà poi ancora la questione della flessibilità sul bilancio e dell’uscita dall’austerity. Circa 150 giornalisti imbarcati in mattinata sulla nave Garibaldi, dove alle 18 è prevista la conferenza dei tre leader. Renzi, Merkel e Hollande si sposteranno sulla portaerei della Marina italiana dopo aver visitato la tomba di Spinelli a Ventotene, il politico italiano considerato uno dei "padri" dell'Europa unita per aver redatto nel 1941 un manifesto per un’Europa federale. Per un’analisi, sentiamo Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all’Università di Milano:

R. – Io credo che quello che sia successo negli ultimi anni, e non solo negli ultimi mesi con la Brexit, sia una riduzione dell’attenzione, anche da parte dei leader politici, alle ragioni per cui l’Europa era stata costituita. Il Manifesto di Ventotene rappresentava una proposta politica che metteva insieme le necessità che i Paesi europei avrebbero avuto, dovendo camminare insieme alla fine della guerra, e alcune soluzioni tecniche per gestire la solidarietà necessaria. Si cominciò a ragionare di integrazione economica e sociale. Anche nella retorica, non si è più detto quanto facciamo, dal punto di vista sociale, in comune. Ci siamo esclusivamente concentrati sulla retorica dell’unità monetaria e soprattutto ci siamo assolutamente allontanati nella capacità di camminare insieme per cercare delle soluzioni. Il prezzo di questo atteggiamento è stata la Brexit e lo scetticismo che in questo momento esiste intorno all’idea di Unione Europea.

D. – Quanto influirà la mancanza di Londra nelle decisioni per il futuro dell’Europa?

R. – Potrebbe non influire moltissimo. In passato, in realtà, la Gran Bretagna non ha partecipato al processo di costruzione europea: la partecipazione britannica è stata sempre un po’ a corrente alternata. È chiaro che un’Europa senza la Gran Bretagna è qualcosa di ridotto: l’Europa vede la Gran Bretagna come uno dei suoi componenti fondamentali. Tuttavia, credo che quest’Europa possa ricominciare un’azione di ricostruzione. Il problema è essere molto attenti a che un vertice a tre non sia un vertice visto per occupare delle posizioni e per dire “siamo noi quelli che contiamo” – perché questo avrebbe come effetto solo quello di un’ulteriore sensazione di esclusione per gli altri Stati – ma deve essere invece costruito e declinato in termini di: “Facciamo delle riflessioni su quale ruolo possiamo giocare per metterci al servizio di tutti gli altri”. Questo è esattamente quello che non è avvenuto quando, a partire dalla crisi greca, i Paesi più ricchi hanno detto: “Non paghiamo noi i conti di chi ha gestito male le proprie economie”. Un atteggiamento simmetricamente diverso potrebbe, viceversa, essere l’ossigeno che gli ridà un’opportunità.

D. – Nuova governance, immigrazione, rilancio dell’economia: sono tra i punti principali sul tappeto del vertice di oggi. Cosa bisogna fare e quali sono stati gli errori del passato?

R. – Effettivamente, queste sono probabilmente le tre priorità. Aggiungerei anche la necessità di mostrare come l’Europa giochi oggi un ruolo rilevante dal punto di vista sociale. Pensiamo a quante risorse sono state trasmesse negli anni attraverso i vari fondi sociali. Dal punto di vista strettamente economico, abbiamo bisogno di fare investimenti in alcune fasce sociali, mi riferisco in modo particolare al tema dell’occupazione giovanile. Abbiamo bisogno di chiarezza dal punto di vista della solidarietà finanziaria e questo è ciò che è mancato di più ed è ciò che è più assolutamente grave. Manchiamo poi tuttora di una politica comune sulla questione dei profughi e delle migrazioni. E questo è qualcosa su cui bisogna sicuramente lavorare e investire.

D. – L’Europa ha davanti a sé, sull’altra sponda del Mediterraneo, diversi focolai: Siria, Libia… Come rispondere a queste crisi del Medio Oriente?

R. – Noi ci siamo dati, anche istituzionalmente, una figura di esempio, di un personaggio che rappresenti l’unità della politica estera europea. Questo posto è in questo momento occupato da Federica Mogherini. Ma il problema è che è molto difficile, da parte dei Paesi più forti, superare i desideri del giocare un proprio ruolo in autonomia. E questo è l’elemento sicuramente più difficile da superare.

D. – Ventotene è una delle culle dell’Europa unita sognata dai Padri fondatori. Un sentimento di appartenenza comune deve essere alimentato anche da questi simboli…

R. – Penso di sì. Noi oggi abbiamo la tentazione di pensare che quest’identità condivisa non sia percepita o sentita dai cittadini europei. Sicuramente, abbiamo bisogno di rilanciarla. Ventotene è un simbolo positivo, anche se non so in realtà quante persone sappiano che cosa sia il “Manifesto di Ventotene”. Ora abbiamo bisogno di rilanciare questi simboli, non però cercando di far vedere che noi siamo come i nostri Padri “bravi”, ma cercando di attualizzare anche dei messaggi e dei simboli, che possano incontrare la sensibilità della gente nel momento in cui uniscono al messaggio formale anche un gesto concreto. Questo permette di costruire anche una retorica che è quella di un’Europa che è capace di accogliere: accogliere i più vulnerabili stranieri, e accogliere e fare spazio ai più vulnerabili europei.








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