2016-08-23 12:30:00

Ufficiale: Alcoa abbandona il Sulcis, i sindacati non ci stanno


L’azienda produttrice di alluminio Alcoa chiuderà i battenti in Sardegna, nell’impianto di Portovesme, nel Sulcis. Una vicenda che va avanti fin dal 2011, quando alla multinazionale americana era stata inflitta una multa di 300 milioni di euro dalla Commissione Europea per tariffe preferenziali da parte dello Stato italiano ritenute illegittime. Per anni, le trattative sulla chiusura dell’impianto sono andate avanti ma adesso è arrivato l’annuncio ufficiale, nonostante sia previsto un incontro a settembre con il Ministero dello sviluppo economico per fare il punto della situazione. Salvatore Tropea ha intervistato Fabio Enne, segretario generale Cisl Sulcis Iglesiente:

R. – Alcoa è sempre stata la multinazionale che ha chiuso lo stabilimento quattro anni fa. Credo che non abbia nessuna intenzione di vendere i suoi stabilimenti di Portovesme per non crearsi un rivale in concorrenza. Non è una novità che Alcoa stia osteggiando la privatizzazione di quella fabbrica. Il governo nazionale dovrebbe adesso svolgere un ruolo che indichi la strada e soprattutto definisca il percorso per la privatizzazione. Il 5 settembre ci dovrebbe essere un incontro. Dovrebbero essere arrivate anche altre manifestazioni di interesse per lo stabilimento. Per cui, il governo deve essere autorevole per dimostrare che ha davvero intenzione di rimettere in marcia gli stabilimenti, perché altrimenti non c’è nessuna intenzione da parte della politica di rimettere in marcia la filiera dell’alluminio.

D. – Quali le reazioni da parte dei sindacati e del territorio per prendere posizione contro questa decisione?

R. – Ritengo che siano state già fatte molte cose. Adesso ci rivolgeremo alla Regione Sardegna, che è il nostro interlocutore principale. Con questa dobbiamo garantirci una seria affidabilità istituzionale nei confronti di una filiera che abbiamo perso, e che stiamo perdendo, in maniera inadeguata dal punto di vista di una programmazione di un territorio che soffre una disoccupazione micidiale e anche soprattutto un’assenza di alternative industriali.

D. – Cosa significa questa decisione per i tanti lavoratori di Alcoa, di cui 420 diretti, 350 degli appalti e 80 in questo momento senza ammortizzatore sociale?

R. – Significa che a dicembre altri 150-160 lavoratori perderanno la mobilità. Attualmente, tutti i lavoratori, diretti e indiretti, sono praticamente licenziati, non hanno azienda, sono tutti in regime di mobilità. Questa è una situazione drastica, perché poi a dicembre del prossimo anno ci saranno altri 300-400 disoccupati e nell’attesa non c’è niente. Il governo nazionale e il presidente del Consiglio deve dirci cosa vuole fare di una filiera importante come l’alluminio: se davvero è stata considerata come strategica in tutte le sedi, la deve rimettere in piedi.

D. – Visti i presupposti, si può sperare che questa decisione non venga più presa o si teme il peggio?

R. – Bisogna capire quali sono state le azioni di marketing da parte del governo nazionale nel ricercare aziende serie, che davvero vogliano produrre alluminio primario. È chiaro che si devono serrare le fila e fare una trattativa altrettanto seria e determinata per fare in modo che lo stabilimento riparta. Ma è chiaro che per far sì che lo stabilimento a Portovesme riparta e sia competitivo, ci devono essere delle condizioni. Queste più o meno si stavano anche mettendo sul tavolo, però probabilmente non c’è ancora la certezza da parte, ad esempio, della Glencore –  multinazionale svizzera – di acquisire l’impianto, perché non si capisce cosa dirà l’Unione Europea una volta avvenuto l’acquisto. E non si capisce neanche il prezzo di energia elettrica che praticheranno per almeno dieci anni. Per cui, insomma, ritengo che ci sia poca serietà da parte di un governo nazionale che ancora non ha dato delle risposte esaustive.








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