2016-08-25 20:03:00

Siria: forze curde lasciano Manbij dopo la liberazione dall'Is


I miliziani curdi dell’unità di protezione del popolo hanno annunciato di aver lasciato la città di Manbij, liberata di recente dagli uomini del sedicente Stato Islamico. Il comando militare della città è stato affidato al consiglio locale, mentre le forze curde dell'Ypg si sarebbero spostate a est dell'Eufrate. Intanto, non accennano a diminuire i bombardamenti sul cielo di Aleppo. Secondo gli attivisti della rete siriana per i diritti umani almeno 13 persone, la maggior parte donne e bambini, sono morte in un raid condotto dalle forze governative in un quartiere della città sotto il controllo dei ribelli. Il servizio di Daniele Gargagliano.

I circa 500 miliziani curdi sono tornati alle loro basi. Il rientro sarebbe già stato concordato nei giorni scorsi, prima del via dell’operazione militare turca in Siria, "Scudo dell'Eufrate", lanciata da Ankara contro gli uomini del sedicente Stato Islamico e delle stesse milizie curde. Queste ultime considerate una presenza pericolosa sul territorio per il timore di una possibile espansione verso le regioni della Turchia meridionale. Il governo turco aveva minacciato di intervenire se la ritirata non fosse avvenuta entro una settimana, posizione appoggiata dagli Stati Uniti nelle parole del segretario di stato Kerry. A Manbij, dunque, rimangono solo poche unità curde, si legge nel comunicato diffuso dall’Unità di protezione del popolo (Ypg), per ultimare il passaggio di consegne al comando militare locale e alla sua amministrazione. Sul fronte delle trattative di pace è atteso per le prossime ore l’incontro tra il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov e l'americano Kerry, appuntamento definito “importante e di un certo impatto” dall'inviato speciale dell'Onu per la Siria Staffan de Mistura, che punta a concretizzare nel breve periodo l’auspicata tregua settimanale di 48 ore, utile a lasciare passare i convogli umanitari destinati ai soccorsi per la popolazione civile.

Continuano intanto le denunce circa l'uso di armi chimiche contro la popolazione siriana, ma anchra non si è riusciti a stabilire chi le abbia adoperate.  Michele Ungolo ne ha parlato con Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università di Roma “Tor Vergata”:

R. – Qui bisogna distinguere gli attacchi chimici condotti dal sedicente Stato islamico da quelli effettuati dal regime di Bashar Al Assad. Sui primi non possiamo intervenire, perché l’Is non ha alcuna rappresentanza nelle sedi internazionali né ha alcun Paese che lo sostenga o con cui sia possibile aprire un dialogo per frenare questo tipo di orrore. Il riferimento a Bashar Al Assad è invece diverso: egli aveva accettato la distruzione del suo arsenale chimico dopo l’attacco dell’agosto 2013. Ricorderemo tutti quello che è accaduto a Ghouta, nei pressi di Damasco, dove ci fu una strage attribuita ad Al Assad, che in quell’occasione fu accusato dagli Stati Uniti di aver utilizzato le armi chimiche. Ci fu una importante crisi internazionale: gli Usa volevano intervenire con dei bombardamenti aerei su Damasco, cosa che fu poi scongiurata da un accordo tra la Russia e gli Stati Uniti, che si tradusse in una risoluzione all’unanimità del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

D. – In riferimento agli avvenimenti del 2013, era stato bandito in Siria ogni tipo di attacco chimico. Oggi, invece tale restrizione è stata violata: cosa è successo?

R. – È difficile dirlo. Confesso che per me è molto difficile immaginare che Bashar Al Assad possa oggi utilizzare le armi chimiche. Questo sarebbe per lui un comportamento molto dannoso – assolutamente scriteriato – per la semplice ragione che Al Assad ha quasi completamente riconquistato la Siria e non ha bisogno di utilizzare le armi chimiche. E soprattutto, se lo facesse, metterebbe in grandissimo imbarazzo Putin, che a suo tempo spinse verso un accordo con gli Usa in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per la distruzione dell’arsenale chimico siriano. Putin in questo momento è l’uomo che garantisce alla comunità internazionale che Bashar Al Assad non farà più uso delle armi chimiche. Se davvero Assad avesse fatto una cosa del genere, il suo potrebbe essere definito come un comportamento politicamente folle.

D. – Quali sono gli effetti di queste armi sulla popolazione?

R. – Terribili, perché in genere sono armi che non lasciano segni evidenti sul corpo, ma le persone muoiono in preda alle convulsioni. Si tratta quindi di una morte lenta, sicuramente peggiore di una morte causata dal lancio di un missile, che è in genere un tipo di morte piuttosto immediata, a meno che non si rimanga ad agonizzare sotto le macerie.

D. – L’Is ha fatto della sua imprevedibilità l’arma più pericolosa. È davvero difficile comprendere dove e come avverrà un nuovo attacco, ma soprattutto, come si può contrastare questo nemico?

R. – Le notizie con riferimento all’Is, per quanto riguarda il fronte occidentale, sono piuttosto positive. L’Is ha ormai i mesi contati. La ragione per cui quest’ultimo continua d esistere in Siria è semplicemente dovuta al fatto che le grandi potenze non si sono messe d’accordo su quello che sarà della Siria dopo la distruzione dell’Is. Sembra però che si vada incontro a questo accordo: se non ci saranno battute d’arresto dal punto di vista politico, esso dovrebbe essere stretto in un volgere di tempo relativamente breve.

D. – Lei ha definito l’Is come “l’organizzazione terroristica più fortunata del mondo”: quali sono gli avvenimenti del passato che l’hanno portata a questa conclusione?

R. – Io ho analizzato tutte le conquiste dell’Is in Siria, in Iraq e in Libia e quello che ho trovato è che l’Is è il “nulla che avanza nel niente”: è l’organizzazione terroristica più fortunata del mondo, in primo luogo perché la sua ascesa si è verificata in presenza di un processo di disfacimento dell’esercito siriano e di quello iracheno. Sono stati fortunati perché sono nati nel posto e al momento giusto. La seconda grande fortuna dell’Is è stata la divisione tra la Russia e gli Stati Uniti. La ragione per cui l’Is continua a esistere è perché non c’è stato un accordo tra i due Paesi per combatterlo seriamente o comunque in maniera definitiva. Diciamo che la Russia e gli Stati Uniti sono stati più impegnati a combattere tra di loro per conquistare Damasco, che a coalizzarsi per liberare Raqqa dalla presenza dell’Is e in particolare da quella del suo leader Al Baghdadi.








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