2016-08-26 14:08:00

Yemen: Kerry propone un governo di unità nazionale per la pace


In Arabia Saudita, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha incontrato ieri i rappresentanti di Riad, della Gran Bretagna e degli Emirati Arabi Uniti per proporre un piano di pace per lo Yemen. L’ accordo prevede l’inclusione in un governo di unità nazionale dei ribelli sciiti Houthi, a condizione che questi ultimi consegnino a una parte terza le armi pesanti in loro possesso. Forte è la preoccupazione per la situazione umanitaria e per le numerose vittime del conflitto. Maria Carnevali ne ha parlato con Eleonora Ardemagni dell’Istituto Studi di politica internazionale (Ispi):

R. -  Il piano di pace per lo Yemen riprende in larga parte le misure già proposte dall’inviato dell’Onu che fino a pochi giorni fa ha tentato di trovare una sintesi politica tra le parti in campo. Da un lato ci sono gli Houthi, gli Ansarullah, quindi i ribelli sciiti del nord dello Yemen che hanno occupato la capitale Sana’a dal gennaio 2015 e ancora la controllano. Dall’altra invece c’è il governo di transizione del presidente Hadi che raggruppa le principali componenti tribali sunnite dal Paese tenute insieme soprattutto dall’ostilità nei confronti degli sciiti del Nord. Questo piano di pace deve tenere in considerazione il fatto che la partita interna, in questo momento, si gioca soprattutto tra Houthi, quindi i ribelli del nord, e Arabia Saudita. Qui andrà trovato il nodo della questione e si potrà trovare una possibilità di accordo.

D. - È realizzabile un gioveno di unità nazionale che comprenda i ribelli sciiti Houthi?

R. - Questo è il tentativo che è sempre fallito, perché le due parti non sono state capaci di trovare una sintesi politica, i ribelli Houthi e i fedeli dell’ex presidente Saleh chiedevano un governo di transizione subito, mentre il governo riconosciuto del presidente Hadi chiedeva prima l’applicazione della Convenzione Onu 2216 che chiede proprio il ritiro dei ribelli dalle zone occupate e la restituzione delle armi sottratte all’esercito.

D. - Tenendo in considerazione i numerosi interessi in gioco e le reazioni geopolitiche dei diversi attori coinvolti, crede che possa funzionare un tale accordo?

R. - Arrivare a un accordo nazionale per lo Yemen che possa essere applicato sul campo diventa sempre più difficile mese dopo mese, perché lo Yemen non è più un Paese unitario, uno Stato nazionale, nessuno ha più il controllo del territorio e ad emergere e a tenere le redini di ciò che succede a livello locale sono invece le milizie che hanno un forte radicamento territoriale ma che non sono espressione di partiti nazionali. In questo senso, più il tempo passa più lo Yemen diventa un Paese frammentato e la guerra civile diventa difficile da superare con un accordo che sia complessivo.

D. - Qual è l’interesse degli Stati Uniti sottostante alla volontà che il conflitto termini?

R. - L’interesse degli Stati Uniti è contrastare al Qaeda nella penisola arabica e le cellule che si richiamano al sedicente Stato islamico che nel sud del Paese sono sempre più forti e hanno conquistato numerosi territori che nelle ultime settimane sono state invece riportati sotto il controllo di milizie locali legate al governo legittimo. La sfida però è mantenere questi territori sotto il controllo del governo. Grazie anche alle alleanze tribali con le popolazioni del luogo al Qaeda sarà in grado di tornare ad occupare questi territori. Per gli Stati Uniti la priorità è trovare un accordo politico a livello nazionale per poter iniziare una seria lotta alle formazioni jihadiste.

D. - Perché i precedenti negoziati in Kuwait sono falliti? Perché questo dovrebbe essere diverso?

R. - Il conflitto in Yemen non ha mai visto prevalere una delle due parti in gioco, perché sia i ribelli del nord sia il governo riconosciuto non sono riusciti a vincerlo militarmente. Questo ha impedito la realizzazione di veri negoziati politici proprio perché entrambe le parti credevano di poter vincere sul campo e di andare poi a negoziare politicamente da un punto di vista migliore. Cosa cambia adesso? Sicuramente,, c’è una situazione di logorio dovuta a questo anno e mezzo di guerra che ha fatto comprendere a entrambe le parti che arrivare ad una vittoria militare sarà difficile e richiederà ancora ulteriori perdite umane.

D. - Com’è la situazione sociopolitica in Yemen? Il conflitto dura ormai da 17 mesi, ha provocato oltre novemila vittime e numerosi sfollati…

R. - La situazione umanitaria dello Yemen era già drammatica perché lo Yemen è il Paese più povero del Medio Oriente e del Nord Africa e lo era già prima dell’inizio del conflitto. La guerra non ha fatto che peggiorare una situazione già critica, l’accesso dalle agenzie umanitarie, la distribuzione dei beni di prima necessità che molto spesso sono stati difficoltosi. Inoltre, ricordiamo che la coalizione a guida saudita ha imposto un embargo sullo Yemen, quindi ha bloccato tutti gli accessi anche via mare per quello che riguarda l’ingresso delle merci, per impedire che l’Iran inviasse armi a sostegno dei ribelli del nord. Questo però ha peggiorato ulteriormente la situazione umanitaria proprio perché lo Yemen è un Paese totalmente dipendente dalle importazioni per quello che riguarda l’alimentazione. Ci sono alcune città che sono ancora oggetto di un assedio che dura ormai da mesi.








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