2016-08-28 14:22:00

Sisma: anziani e bambini, i più colpiti tra i sopravvissuti


Nel Palazzetto dello Sport di Amatrice, dove è impegnato in prima linea l’Ordine dei Cavalieri di Malta, si continua a lavorare alacremente, ma c’è spazio anche per i rapporti umani. A raccontare la vita in questo piccolo microcosmo è il vice capo campo, Jacopo Caucci, al microfono di Eugenio Murrali:

R. – Stiamo gestendo il Palazzetto dello Sport di Amatrice. In questo caso ospita circa 60 sfollati dai venti anni fino al più anziano che ha 87. In più fino a pochi giorni fa è stato un centro di stoccaggio. Qui abbiamo sia materiale medico, perché abbiamo un’infermeria, abbiamo cibo, generi di primo soccorso, tutto ciò che è necessario per l’igiene personale vestiti, coperte …

D. – Al quarto giorno di lavoro, qual è lo spirito dei volontari? Qual sono le energie rimaste?

R. - Di energie ce ne sono poche, ma continuiamo ad usarle. Siamo coscienti che questa sarà una lunga emergenza, perché questo paese purtroppo non esiste più e le persone non hanno più una casa e di conseguenza dovranno rimanere per molto tempo in questi campi a meno che non si trovino altre collocazioni. Abbiamo potuto notare in questi giorni che molte persone non vogliono lasciare il luogo; preferiscono dormire in un palazzetto piuttosto di lasciare quella che considerano ancora la loro casa. La chiamano “casa mia” anche se casa loro non c’è più.

D. - Qual è il vostro rapporto con le persone in questi giorni? Come vi state relazionando con loro?

R. - I primi giorni sono stati di carattere operativo. Quindi si trattava di sistemarli, dare loro un pasto caldo, un letto e assicurarsi che avessero delle condizioni sanitare ottimali per poter rimanere all’interno di un campo e non dover essere quindi ospedalizzati. Con il passare del tempo ovviamente si creano quelle sinergie tra i volontari e gli sfollati che portano poi a rapporti di amicizia, di confidenza per poter gestire al meglio il campo.

D. - E gli anziani?

R. - Sono paradossalmente quelli che si rendono meno conto delle questione, forse perché hanno molta esperienza di vita alle spalle e quindi la vivono quasi fosse una cosa naturale. So che è difficile capire questa cosa: sembra siano alienati dal contesto. Stanno all’interno del nostro campo, dormono, si lavano, ma non vivono la situazione con la disperazione che magari può provare un ragazzo di 20 o di 30 anni che ha ancora molta vita davanti e si rende conto che parte di questa è finita quattro gironi fa dal punto di vista infrastrutturale naturalmente... anche se molte delle persone che sono qui dentro hanno avuto dei lutti. Quindi in ogni caso sono delle vite spezzate.

D. - Alla fine di questa primissima fase di emergenza di cosa c’è ancora bisogno?

R. - Adesso bisogna solamente ricostruire perché c’è stata una concertazione a livello nazionale di invii che praticamente siamo stati costretti, come è emerso anche dagli ultimi dispacci del Dipartimento della Protezione Civile, a bloccare gli invii gli aiuti. Questo palazzetto è completamente pieno di ogni genere di cose. Adesso l’unica cosa che si può fare è capire come ricostruire questo paese, se si può ricostruire, sperando che non ci sia un’idea tipo “New Town L’Aquila”: cerchiamo di intervenire sul territorio.

A patire maggiormente le sofferenze del terremoto sono i bambini, cui devono essere spiegate le perdite familiari nel modo giusto, e gli anziani, che hanno più difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti. Lo conferma ad Eugenio Murrali la volontaria psicologa del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine del Cavalieri di Malta, Mara Germani:

R. – Il nostro primo dovere, come gruppo di primo intervento psicologico, è fare una valutazione, quella che noi chiamiamo “analisi dei bisogni”, proprio per capire quelle che sono le reali necessità, perché noi abbiamo una formazione, un’esperienza di diverse situazioni emergenziali a partire dai terremoti dell’Abruzzo, e dell’Emilia. Quindi sappiamo cosa trovarci di fronte, ma ogni situazione poi ha le sue particolarità e le sue caratteristiche. Quindi quello che noi facciamo in prima battuta è proprio cercare di capire quali sono queste particolarità.

D. - Quali particolarità avete trovato qui?

R. - Qui innanzi tutto c’è stato un fortissimo impatto per quanto riguarda interi nuclei famigliari. Quindi quello che ci ha colpito anche dai racconti delle situazioni è stata la distruzione di un intero paese, ma quello che colpisce non sono solo le mura - intese come edificio - ma come contenitore, come casa e contenitore delle famiglie intere.

D. - A quattro giorni dal sisma, finita la primissima fase di emergenza, cosa si apre da un punto di vista psicologico di nuovo?

R. - Sicuramente il primo impatto è quello di fare, di riuscire prima a scavare, poi a fare i riconoscimenti, le pratiche che poi purtroppo bisogna sbrigare, recuperare i generi di prima necessità … Quindi è tutto improntato al fare, non pensare in qualche modo, a non darsi uno spazio per riflettere su quello che sta accadendo. Finito il momento del fare, è il momento nel quale emerge un po’ l’emotività, vengono fuori quelli che sono gli aspetti che in qualche modo erano stati accantonati. Noi aiutiamo le persone in questo, ad elaborare quelli che sono gli impatti emotivi e tutto il vissuto che poi emerge.

D. - Chiaramente le categorie dei bambini e degli anziani sono sempre le più fragili. Cosa state riscontrando?

R. - In particolare nei genitori stiamo riscontrando la necessità di parlare ai bambini, di comunicare ai piccoli di varie fasce d’età poi che cosa sta accadendo, eventi tragici all’interno della famiglia. Quindi quello che noi facciamo è anche un po’ assistere i genitori in questo compito, dare indicazioni, suggerimenti.

D. - Qual è lo spirito di voi volontari dopo quattro giorni di lavoro così intensi?

R. - Sicuramente noi ci formiamo anche durante quello che noi chiamiamo “il tempo di pace” per riuscire poi a sostenere questo tipo di lavoro. Noi come psicologi in particolare lavoriamo in équipe proprio perché non sarebbe pensabile svolgere questa funzione da soli. Noi siamo sempre in gruppi di tre o quattro colleghi in modo tale che tra noi poi possiamo ricercare il supporto di cui abbiamo necessità e soprattutto il coordinamento perché altrimenti non si possono dare più cose contemporaneamente.

D. - Tornando agli anziani, invece …

R. - In questo caso c’è proprio il legame con quella che è la terra, la casa … Quindi la difficoltà anche al cambiamento per un anziano è già difficile da affrontare. In questo caso cerchiamo di intervenire e di aiutare anche sostenendo i famigliari che molto spesso devono cercare di comunicare le variazioni, anche gli spostamenti.








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