2016-08-31 12:14:00

Siria, Hassaké: mons. Hindo, serve tutto, aiuti senza distinzioni


Una città sotto assedio, piagata dai combattimenti, circondata da ogni parte, dove il poco cibo a disposizione ha un prezzo inaccessibile per la popolazione. È Hassaké, nella parte nord orientale della Siria, descritta da mons. Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi. Il presule, la cui arcidiocesi comprende anche Raqqa, la “capitale” del sedicente Stato Islamico, in un colloquio con Aiuto alla Chiesa che Soffre ha denunciato la drammatica situazione della zona, per la quale la fondazione pontificia ha stanziato a metà agosto un contributo di un milione e 500 mila euro, da destinare anche alle popolazioni in difficoltà di Aleppo. Giada Aquilino lo ha raggiunto telefonicamente ad Hassaké:

R. – Anche se adesso le cose sono migliorate, perché fino a domani è in vigore un cessate il fuoco, purtroppo nelle strade le cose non sono cambiate.

D. - Lei dice che in questo momento c’è il cessate il fuoco ma, una volta finito, la situazione potrebbe tornare ad essere quella di prima?

R. - Forse, non si sa. La gente è angosciata, qualcuno ha lasciato già la città per andare a Kamishlié, 90 km più a nord. La battaglia che è durata otto giorni si è svolta qui, nel quartiere delle cinque chiese, dove vivono i cristiani. Io stesso all’arcivescovado sono stato sfiorato da un tiro di un cecchino: il colpo mi è passato a 40 centimetri di distanza ed ha fatto un buco profondo tre o quattro centimetri nel muro.

D. - A combattere sono le forze curde e siriane: questi scontri cosa comportano per la popolazione?

R. - I curdi vogliono prendere la città, quindi non avremo più scuole, non abbiamo già per esempio il passaporto perché hanno sequestrato e occupato l’ufficio che rilascia i passaporti e le carte d’identità. Di fronte alla porta dell’arcivescovado abbiamo un check point curdo. Siamo circondati dai curdi: e succede che l’esercito spara, loro sparano a loro volta e noi ci troviamo in mezzo.

D. - Gli aiuti non arrivano: perché?

R. - Perché siamo circondati da Daesh, dalla Turchia e dai curdi dell’Iraq. La frontiera curda dell’Iraq è chiusa perché i curdi dell’Iraq sono contro i curdi che si trovano qui; poi l’altra frontiera tra l’Iraq e la Siria è nelle mani dell’Is; a nord c’è la Turchia e lì è tutto chiuso; a sud c’è ancora Daesh. Quindi possiamo viaggiare solamente con l’aereo, da Kamishlié fino a Damasco, ma in macchina non si può andare. Tutto è chiuso, Daesh impedisce l’arrivo di tutto.

D. - Cosa serve più urgentemente?

R. - Tutto! Io ho dovuto distribuire per tre giorni di seguito pane alla popolazione del nostro quartiere che subisce questa guerra. Un forno ci ha fatto del pane, che ho distribuito ai cristiani, ai musulmani, a tutti, perché non c’era più niente da mangiare.

D. - Senza differenze…

R. – Non distribuisco il pane solamente ai cristiani, ma a tutti: perché tutti siamo figli di Dio. Quando aiuto, aiuto tutti.

D. - I suoi appelli per aiutare la popolazione a chi sono andati e a chi vanno in questo momento?

R. - Ho parlato con l’esercito siriano: mi ha detto che è pronto a lasciare la città. Ho parlato con i curdi e con il capo dell’esercito curdo: mi hanno promesso la stessa cosa e che non ci saranno più persone che porteranno armi nella zona. Fino a questo momento però sono ancora lì, sembra si stiano preparando per un’altra battaglia tra di loro.

D. - A novembre lei sarà in Italia per la presentazione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Quale messaggio porterà?

R. - Sarà un messaggio di pace. Noi chiediamo la pace. Mi farò 'mendicante di pace'.








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