2016-09-03 13:31:00

Filippine: attacco di Abu Sayyaf. Dichiarato stato illegalità


È salito ad almeno 14 morti il bilancio dell’attentato di ieri in un mercato di Davao, la più grande città del sud delle Filippine. L’azione è stata rivendicata dagli estremisti islamici di Abu Sayyaf, dopo che l’attacco era stato già a loro attribuito dal sindaco, Sarah Duterte, figlia del presidente Rodrigo Duterte, in passato anch’egli primo cittadino della località sull’isola di Mindanao. Il capo dello Stato, in visita proprio nella zona, ha dichiarato lo "stato di illegalità", precisando che la disposizione non si tradurrà in legge marziale ma potrà consentire ai militari di essere dispiegati nei centri urbani a sostegno della polizia. Nelle scorse settimane, Duterte aveva sferrato un’azione militare contro i guerriglieri di Abu Sayyaf e una sanguinosa campagna contro spacciatori e trafficanti di droga, criticata da Onu, organizzazioni in difesa dei diritti umani e Chiesa filippina. Per un commento sulla situazione, Giada Aquilino ha intervistato Paolo Affatato, responsabile della redazione asiatica dell’Agenzia Fides:

R. – L’attentato è una sfida al presidente Rodrigo Duterte perché avviene nella sua città natale, dove è stato sindaco, e soprattutto mentre il presidente stesso è in visita nella città. Quindi, è una sfida alla sua persona e alla sua azione politica. Vorrei però dire che questi atti intimidatori non fanno altro che rafforzare il presidente Duterte, che ha lanciato da qualche mese una lotta senza quartiere al crimine e al terrorismo.

D. – L’attentato ha colpito un mercato di Davao, non lontano dall’ateneo gesuita. Ci sono pericoli?

R. – Il terrorismo è un fenomeno che, sappiamo, colpisce obiettivi civili in modo indiscriminato. Non vedrei le istituzioni cattoliche, cristiane, nel mirino come un obiettivo privilegiato, ma come uno dei tanti obiettivi possibili, dato che sono le scuole, le piazze, le chiese e i mercati gli obiettivi delle campagne terroristiche. E negli anni scorsi anche le istituzioni cristiane sono state colpite nel sud delle Filippine.

D. – Si è detto nelle ultime settimane come Abu Sayyaf abbia giurato fedeltà al sedicente Stato islamico (Is): è possibile ed è pericolosa una tale alleanza nel sud delle Filippine?

R. – Prima di tutto, direi che l’attentato rivendicato da Abu Sayyaf è più un segno di debolezza di quest’organizzazione, che dal 1991 ha le sue basi nel sud delle Filippine, sull’isola di Mindanao, dove si trova la città di Davao, e in quella corona di isole che sono le Sulu, situate accanto all’isola di Mindanao. Sono un segno di debolezza, perché il presidente Duterte ha avviato negli ultimi tempi un discorso di rinnovato dialogo e azione negoziale verso i gruppi ribelli nel sud delle Filippine. Allo stesso tempo, ha lanciato anche un chiaro segnale di volontà negoziale con i maggiori gruppi islamici nel sud delle Filippine. D’altra parte, ha mostrato il pugno duro e ha annunciato una lotta senza quartiere contro gruppi terroristi come Abu Sayyaf. Su quest’ultimo ci sarebbe molto da dire: io lo definirei una sorta di “mistero”, in quanto non si può capire come mai un manipolo di circa 300 militanti – questo è il numero stimato – possa tenere in scacco da oltre quindici anni un esercito regolare come quello filippino, in un territorio circoscritto composto da isole molto piccole. In questo caso, la presunta affiliazione all’Is – a mio parere – non è altro che una trovata pubblicitaria, uno sfruttare un marchio che oggi funziona sul mercato dell’informazione. Anche perché si può ricordare che quindici anni fa Abu Sayyaf si diceva legato alla rete Al Qaeda guidata da Bin Laden, che era quella sulla “cresta dell’onda”.

D. – Il governo ha recentemente avviato un’azione anche contro i cartelli della droga, sfociata nel sangue. Anche la Chiesa filippina ha criticato tanta violenza. Cosa servirebbe oggi?

R. – Servirebbe un approccio deciso verso la criminalità, ma nel rispetto dello stato di diritto e della legalità. E questo è quanto hanno chiesto la Chiesa filippina e le numerose ong che nelle ultime settimane sono intervenute a criticare la campagna di giustizia sommaria e di esecuzioni extragiudiziali, che ha superato le 1.000 vittime, contro i presunti spacciatori o trafficanti di droga.








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