2016-09-05 11:42:00

I terremotati di Lazio e Marche non vogliono lasciare la propria terra


L’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha reso noto che dall’inizio del terremoto di magnitudo 6.0 delle 3.36 del 24 agosto scorso che colpito il centro Italia, ha localizzato complessivamente oltre 5mila scosse sismiche. Uno sciame avvertito ogni giorno dalle 4.700 persone assistite e ospitate nelle strutture adatte e nelle tendopoli allestite dalla Protezione civile. Nelle Marche in particolare, le autorità vogliono far uscire a breve gli oltre 1.000 terremotati dalle tende e trovare soluzioni abitative compatibili con l’inverno ma soprattutto gli anziani, vogliono rimanere vicino alle proprie case. Purtroppo il freddo è in arrivo e già oggi è previsto un peggioramento meteo con temporali, vento e possibili smottamenti. Il Commissari Errani ha promesso i prefabbricati entro aprile. Roberto Piermarini si è recato in una delle tre tendopoli di Arquata del Tronto, quella di Pretare ed ha intervistato il parroco, di tre delle frazioni più colpite, don Francesco Armandi:

D. – Don Francesco, tu visiti ogni giorno i tuoi parrocchiani che vivono nelle tendopoli: che cosa ti chiedono?

R. – Chiedono di rimanere vicino alle loro case, anche se momentaneamente si trovano nelle tende. Chiedono che i campi prefabbricati siano allestiti vicino ai loro paesi, cosicché possano rimanere almeno in contatto visivo con le loro case, i loro affetti e i loro ricordi.

D. – Qual è il loro stato d’animo?

R. – Dipende dai paesi: in alcuni un po’ meglio, in altri peggio. A Pretare, dove sono rimasti tutti insieme – tutti della stessa frazione – lo stato d’animo è migliore rispetto a Pescara del Tronto, dove purtroppo non c’è neanche una famiglia che non abbia avuto un lutto. A Capodacqua, dove sono stati tutti allontanati per mancanza di spazio, le persone sono un po’ abbattute. Questo è un po’ in generale lo stato d’animo delle persone; in ogni caso tutte, indistintamente, chiedono di rimanere nei loro paesi, e che questi ultimi vengano ricostruiti. A Pescara infatti, dopo tutti i morti che ci sono stati, pensavo che gli abitanti non avessero più la volontà di ricostruire il paese; e invece si è già costituito un comitato, che si è già riunito proprio con l’obiettivo di premere per la ricostruzione del paese.

D. – A Pescara del Tronto, dove sei parroco, hai perso molti parrocchiani: che cosa ricordi di loro?

R. – Li ricordo tutti. Con alcuni di loro, la sera prima avevamo festeggiato il compleanno ed eravamo tutti in piazza al rinfresco per stare vicino a loro. Cinque giorni prima, una coppia originaria di Pescara aveva festeggiato il 25.mo di matrimonio: e anche in quell’occasione ci eravamo ritrovati tutti insieme in piazza per partecipare al rinfresco. Di questa coppia, ad esempio, si è salvata solo la moglie e un figlio, mentre l’altro figlio, il marito e i genitori sono morti. Lo stato d’animo è quindi facilmente intuibile…

D. – Anche nella frazione di Capodacqua ci sono stati ingenti danni, anche dal punto di vista artistico…

R. – Sì, molti. C’è ancora una chiesa molto famosa, ottagonale, con dipinti di Cola di Amatrice, che ora è in pericolo di crollo; e purtroppo non riusciamo ancora ad intervenire dato il pericolo che tuttora incombe. Certamente però sarebbe un peccato, perché queste chiese, antiche di secoli, non sono solo un monumento all’arte, ma – secondo me – sono un monumento alla fede, perché le hanno costruite gli abitanti del paese, i nostri paesani, “togliendosi il pane dalla bocca”.

D. – Qual è la situazione invece nelle altre chiese delle due parrocchie dove sei parroco?

R. – La situazione delle chiese purtroppo è grave, perché sono tutte inagibili, anche quelle che non sono crollate. E tanto è vero che al campo di Pretare abbiamo allestito una tenda dedicata alla chiesa.

D. – Oggi come si svolge la tua attività pastorale? Devi girare per i vari campi?

R. – Io dico la Messa nella tendopoli di Pretare. Però, dato che i miei parrocchiani di Capodacqua e di Pescara del Tronto sono sparsi nei campi di Borgo d’Arquata e Pescara, almeno una volta al giorno vado in uno dei campi a trovarli e a parlare con loro.

D. – C’è attesa per la visita del Papa qui?

R. – Certo! Tutti mi domandano: “Ma verrà per davvero? E se viene, quando?” Perché tra i fedeli il Papa è molto amato e stimato. E tutti – veramente – lo aspettano con affetto e attendono da lui una parola di conforto: che forse è l’unica sincera.

D. – Don Francesco, cosa ti fa più paura una volta che i riflettori si spegneranno?

R. – La solitudine, perché sicuramente il rischio è che questa gente sia abbandonata a sé stessa. E il pericolo mi pare sia abbastanza imminente: già rispetto al primo giorno, oggi c’è una differenza di afflusso di mezzi e personale. Anche perché è diminuita la presenza delle televisioni e delle radio che fanno interviste: molti erano qui solo per quello.

D. – Che cosa ti ha lasciato questo terremoto?

R. – Mi ha lasciato una sensazione di grande sconforto, ma al tempo stesso mi ha dato una speranza. Perché ho visto che in tante persone le disgrazie tirano fuori il meglio del loro animo.








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