2016-09-06 14:09:00

"Sorella morte", dignità del vivere e morire per mons. Paglia


L’eutanasia, uno dei capisaldi del pensiero moderno, è immagine della deriva totalitaria e della profonda solitudine che vive la società occidentale. Questo uno dei temi affrontati nel libro, “Sorella morte - La dignità del vivere e del morire” di mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Il titolo del testo, edito da Piemme e da oggi in libreria, riprende l’espressione del Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi. Sui tanti argomenti di attualità affrontati, campeggia la necessità di ritessere legami di vicinanza fra le persone e le generazioni, spiega mons. Paglia nell’intervista di Debora Donnini:

R. – Il cuore del messaggio che promana da queste pagine è il bisogno di accompagnarci gli uni gli altri, dall’inizio alla fine. In un mondo dove la solitudine sembra diventare una malattia virale che ha colpito l’intera società, la vita e la morte sono amare, ancor più amare, se non sono accompagnate. Ecco perché penso che riflettere su quello che poi l’esistenza ci presenta davanti, perché tutti viviamo, tutti moriamo, credo sia importante. Diceva Santa Teresa – o Madre Teresa, come il Papa ci ha autorizzato a continuare a chiamarla – che la malattia dell’Occidente, soprattutto ma non solo, è la solitudine. E l’unica medicina per guarirla è l’amore. E lei per prima ha dato questa medicina dell’amore ai moribondi, cambiando la loro morte.

D. – Infatti, è in Occidente che si parla tanto di eutanasia, forse proprio perché c’è questa malattia così grande che è la solitudine…

R. – Sì, infatti, c’è come una grande menzogna dell’Occidente: non si accompagna il morente, se ne affretta la morte. Io sono convinto, ed è uno dei motivi del libro, che sia importante riflettere e dibattere sui temi ultimi, l’ignoranza è sempre deleteria. Nessuno di noi è un’isola: ognuno di noi non è solo se stesso, ma è se stesso insieme con gli altri. Quindi, stroncare la vita di una persona vuol dire stroncare la persona e tutte le sue relazioni. C’è bisogno di ridare la coscienza della communio in una società iper-individualista, iper-tecnologica e alla fine iper-solitudinaria. Ecco, con questo libro vorrei mostrare l’indispensabilità dell’essere legati gli uni agli altri.

D. – Quello che faceva Santa Madre Teresa, infatti, era “raccogliere” lebbrosi, moribondi per le strade di Calcutta, stando loro vicino nel momento della morte, cioè aiutandoli a morire sentendosi amati e non rifiutati…

R. – Sì, direi che questa può essere anche la sintesi del libro. Madre Teresa ha capito, con l’intuizione spirituale, che in una cultura che vive praticando lo scarto, la rivoluzione è fare il contrario: stare accanto a chi è scartato. E’ da qui che si cambia il mondo, è da qui che si cancella la disumanità. Credo che quando chi è scartato viene amato, è proprio qui che inizia il Paradiso.

D. – Centrale è poi il discorso sugli anziani. Prima i bambini stavano vicini agli anziani, anche nel momento della morte. Oggi, invece, i bambini vengono per lo più allontanati dai nonni malati e morenti, creando così una rottura tra le generazioni. Il Papa ha ribadito più volte quanto invece abbiano da insegnare i nonni nella famiglia. Un tema centrale anche nel suo libro…

R. – E’ uno dei temi centrali del volume. Qualche studioso parla della morte come della nuova “pornografia contemporanea”, ciò di cui non si deve parlare, ciò che i bambini non debbono neppure avvicinare. Ha ragione Papa Francesco a richiamare l’urgenza di ritessere il legame tra le generazioni, perché la dignità è l’essere legati gli uni agli altri, e la dignità è capire che questo legame d’amore è ciò che più conta in tutta la nostra esistenza: più della carriera, più dei soldi, più delle ricchezze materiali. E’ la ritessitura dell’umanità, il grande compito che è affidato alle nostre mani.

D. – Lei è stato nominato recentemente da Papa Francesco alla guida della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia. In un Chirografo, il Papa si rivolge a Lei e torna ad auspicare che la Chiesa si chini sulle ferite dell’uomo per curarle e sia come un "ospedale da campo", un’immagine che aveva già usato. Concretamente, come si traducono per lei queste parole nel suo nuovo compito?

R. – Questa missione si traduce nell’aiutare la coscienza dei credenti, ma anche dei non credenti, a comprendere che questa missione che Dio ci ha affidato inizia partendo dalla concretezza delle periferie e dai drammi che spesso le caratterizzano. La stessa scienza teologica e pastorale relativa al matrimonio, alla famiglia e alla vita è una scienza che deve sporcarsi le mani con la realtà della vita. In questo, Papa Francesco chiede anche alla Teologia e alla Pastorale di non stare a "pettinare" i concetti – se così mi è permesso dire – ma di aiutare a salvare le vite.








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