2016-09-08 13:00:00

Festival Venezia. L'esperienza di un esorcista in "Liberami"


La giornata di un esorcista, il siciliano padre Cataldo, e l'incontro con il male e il dolore: il documentario "Liberami" di Federica Di Giacomo è in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione "Orizzonti". Il servizio di Luca Pellegrini:

Federica Di Giacomo tratta il tema dell'esorcismo con grande misura, anche se nulla concede di serenità allo spettatore. Il tema è quello. Nel suo documentario "Liberami" segue alcune giornate, faticosissime, di Padre Cataldo, esorcista da quindici anni della Diocesi di Palermo, e conclude con lui stesso e tanti giovani che frequentano gli appositi corsi istituiti a Roma dall'Ateneo Regina Apostolorum. Le immagini non sono mai concilianti, si innervano sul dolore delle famiglie e gli scarti umorali e della personalità quando incontrano il sacro, quando sentono parlare di Dio. La regista racconta perché è nato questo film.

R. – Io cercavo storie sull’ossessione, sulle dipendenze proprio perché secondo me questa società in cui viviamo produce una serie di ossessioni continue, cioè il nostro stato di lucidità è molto basso. Anche il fatto che possiamo diventare dipendenti dalla televisione, dal gioco, dal sesso… siamo molto dipendenti. Ho trovato questa notizia per caso, del corso di formazione per esorcisti. Mi è sembrato formidabile, perché investigando si apriva una realtà totalmente sconosciuta del fatto che questo fenomeno è in crescita esponenziale. Quindi la Chiesa in un certo senso si è organizzata rispetto ad  un’affluenza di persone fuori dalla norma che chiedeva aiuto ai preti; giustamente li ha anche preparati.

D. - Un film che lei ha fatto anche per i sacerdoti…

R. – Assolutamente. Infatti spero che la Chiesa accetti questo film, accetti il fatto che si parli maggiormente di questa questione e si apra alla società, proprio perché nel momento in cui si nominano in modo così massivo... gli esorcisti sono degli esseri umani che devono imparare! Non sono preparati per distinguere nettamente la malattia psichica da quella diabolica. Quindi ci vuole anche una dose di compassione per queste persone che veramente si trovano nella trincea della sofferenza e che sono assediate. Padre Cataldo riceve 25 famiglie al giorno!

D. - Il male si vede, ma Satana non è mai nominato…

R. – Siamo pervasi da un immaginario horror cinematografico e questo ha condizionato molto. Le persone hanno moltissima paura a dire anche alle proprie famiglie quello che stanno facendo. Un prete ad un certo punto mi ha detto: “Guardi, io sono totalmente a favore di questo film perché nella mia esperienza quotidiana o si pensa che Satana non esiste o si vede da tutte le parti”. Allora, forse, si riacquisisce un giusto mezzo.

D. - Qual è stato il suo rapporto con le famiglie che si sono lasciate riprendere in momenti così terribili? 

R. – C’è stato un lungo lavoro di ricerca, molti sono entrati nel film, poi sono usciti. Molti preti hanno detto “sì”, poi hanno pensato che era meglio dire “no”… Insomma, c’è stato un lungo lavoro. Però, è vero, noi ci ponevamo in un atteggiamento non giudicante, ci facevamo delle domande e in loro abbiamo notato lo stesso stato: si facevano domande continue sul fatto se fossero posseduti o meno, se veramente fosse Satana, se la cura fosse giusta… Anche i preti si facevano molte domande sul limite della malattia psichica. Quindi un po’ tutti, siamo entrati in questo flusso di domande. Tra l’altro, per alcuni di loro è stato anche un modo per confrontarsi con qualcuno perché fuori, per paura del giudizio, era difficile affrontare questi temi e per altri, soprattutto quando hanno iniziato a sentirsi meglio, era anche un modo per aiutare le persone. Molti mi hanno detto: “Noi vogliamo che le persone vedano, perché noi abbiamo passato l’inferno, ma forse possiamo aiutare qualcun’altro”.








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