2016-09-09 13:19:00

Festival Venezia. Viganò consegna premio Bresson a Konchalovsky


"I grandi artisti amano le creature umane e tentano di capire nelle loro opere le ragioni di questo amore". Sono le parole con cui Andrei Konchalovsky ha preso tra le mani il Premio Robert Bresson che gli è stato consegnato questa mattina alla Mostra del Cinema di Venezia da mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede. Il servizio di Luca Pellegrini:

Alla Mostra del Cinema di Venezia, Konchalovsky è in concorso con un film, "Paradise - Paradiso", che racconta l'Olocausto dalla prospettiva di tre soli personaggi: un tedesco nazista, un francese collaborazionista e una nobile russa vittima della storia. Ha sorpreso ancora una volta il rigore morale e stilistico del grande regista russo, che oggi ha ricevuto il Premio Robert Bresson alla presenza di don Davide Milani, presidente dell'Ente dello Spettacolo. Konchalovsky si è detto onorato di un riconoscimento che lo lega a Bresson. Ha ricordato quello che per lui è l'impegno più difficile di un regista di cinema: "Far vedere ciò che sta dietro la superficie delle immagini, il mondo fisico, andando a percepire, mostrare, accarezzare la sostanza spirituale. Questo e ciò che Bresson ha fatto durante tutta la sua vita - ha concluso il Maestro russo - e in tutti i suoi film. Quindi non posso che sentirmi onorato perché qualcuno mi riconosca come suo seguace”. Il Premio gli è stato consegnato da mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede. Nel suo discorso, ha messo in relazione la cinematografia di Konchalovsky a una frase di Papa Francesco durante il suo viaggio a Cuba lo scorso anno: "Nell'obiettività della vita deve entrare la capacità di sognare". Gli abbiamo chiesto i motivi di questa citazione:

R. – Il Maestro Konchalovsky ha vissuto anche lui un itinerario da Mosca, da un sistema in qualche modo paragonabile a quello di Cuba dal punto di vista delle scelte politiche ed economiche, e poi è andato in America è poi è tornato in Russia. E quindi, perché ha lasciato Mosca, in cui ha iniziato a fare il maestro del cinema, entrando dalla porta principale insieme al Maestro Tarkowski? Perché non aveva libertà, subiva grandi pressioni e quindi cercava di raccontare ciò che emergeva come sogno utopico dal cuore rispetto alle vicende dell’umano. E’ andato in America: forse un’illusione, perché in America poteva avere certamente la possibilità di raccontare ciò che desiderava, ma anche lì tutto ciò doveva essere sottoposto a una legge economica, cioè quanto questo progetto avrebbe potuto produrre. E i sogni non producono: i sogni affascinano, ammaliano, segnano delle strade per intraprendere dei percorsi di comprensione della vita. Ecco che allora torna nella Russia della Perestrojka, della glasnost e lì, finalmente, può raccontare – forse è anche la maturità del Maestro – un cinema come spesso detto, davvero segnato dalla presenza di Bresson, dove il cinema non è semplicemente un catturare delle immagini, ma mostrare attraverso le immagini il cuore, la passione, l’anima di ciò che avviene davanti alla macchina da presa, cioè appunto quell’invisibile che è la forza di un uomo, di una donna, di una società che sanno sognare.

D. – Da presidente dell’Ente dello Spettacolo, lei ha vissuto molto la presenza dell’Ente e quindi in qualche modo della Chiesa e della Santa Sede qui a Venezia, alla Mostra del Cinema. Rispetto a tutto quella che è stata la sua storia legata all’Ente dello Spettacolo e alla presenza della Chiesa qui, alla Mostra del Cinema di Venezia, quali valutazioni può trarre oggi come prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede?

R. – Credo che sia un’esperienza molto importante, molto positiva perché la Chiesa è là dove c’è l’uomo e noi non possiamo abdicare a una presenza responsabile, capace di parole, di accoglienza, di amicizia in un mondo così importante come quello del cinema e in particolare del cinema di Venezia. Qui abbiamo uomini e donne che provengono da tutto il mondo, che raccontano, fanno parte dell’industria dell’intrattenimento, sono i soggetti che in qualche modo segnano i percorsi interpretativi di generazioni e generazioni … Quindi per noi è molto importante essere presenti, senza arroganza, con la vicinanza accogliente, con la parola dell’amicizia e questo credo sia davvero un’esperienza tipica di una Chiesa che sa uscire da sé e sa essere capace di evangelizzazione.








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