2016-09-12 18:30:00

Attualità di Ratisbona, dieci anni dopo


Un auspicio profetico

“Confido quindi che, dopo le reazioni del primo momento, le mie parole nell’Università di Regensburg possano costituire una spinta e un incoraggiamento a un dialogo positivo, anche autocritico, sia tra le religioni, come tra la ragione moderna e la fede dei cristiani”. Così, nell’udienza generale del 20 settembre del 2006, Benedetto XVI esprimeva un auspicio circa il discorso da lui pronunciato otto giorni prima all’Università di Ratisbona, dedicato al tema ‘Fede e ragione’. Quella celebre ‘Lectio Magistralis’, tenuta da Ratzinger nell’ateneo tedesco esattamente dieci anni fa, divenne, com’è noto, il bersaglio delle critiche del mondo islamico, per il fraintendimento legato a una citazione molto severa nei confronti del Corano, attribuita erroneamente allo stesso Pontefice. Ma al di là di quell’incidente, come il suo autore si augurava, le questioni sollevate profeticamente in quel testo sono tutt’ora attualissime sia sul fronte del dibattito teologico cristiano che su quello del dialogo interculturale e interreligioso. Non a caso il sito del Cortile dei Gentili  - la struttura del dicastero vaticano per la cultura dedicata al dialogo con i non credenti -  ha raccolto, sotto la supervisione di Gabriele Palasciano, circa quaranta interventi di studiosi di varia estrazione per mettere a fuoco ‘Quel che resta di Ratisbona’, senza intenti apologetici ma come occasione di confronto. Il nodo ‘religione e violenza’, come quello dell’allargamento della sfera razionale fino all’inclusione del divino e del trascendente per sviluppare il dialogo e infine l’imprescindibilità dell’ellenizzazione del cristianesimo, sono prospettive che, dieci anni dopo, restano più che valide per interpretare il reale.

Un cristianesimo 'razionale'

“E’ un discorso attualissimo – spiega lo storico del cristianesimo Giovanni Filoramo – perché chiama in causa uno dei baluardi del pensiero, prima del prof. Ratzinger e poi di Benedetto XVI: le radici cristiane e religiose dell’Europa. E’ un tema che non ha assolutamente perso di attualità. Anzi, per tutta una serie di eventi, come la crisi stessa dell’edificio europeo, il problema di quali sono i valori identitari di questa comunità si ripropone oggi con urgenza. Questi valori non possono essere evidentemente basati solo sulla moneta comune o le istituzioni bancarie. Un intento fondamentale del discorso di Ratisbona, che fu in parte frainteso, era proprio sottolineare la dimensione razionale, legata alla filosofia greca, delle radici ebraico-cristiane della cultura europea, proprio per questo in grado di confrontarsi con altre tradizioni religiose, come quella islamica. Ed è evidente come questo dibattito rimanga assolutamente attuale”. “Benedetto XVI propose un modello di cristianesimo tipico della tradizione, in senso nobile, apologetica cattolica. Un cristianesimo ‘razionale’ capace di fondarsi su un ‘Logos’ - che per i cristiani è Cristo stesso - ma che costituisce un elemento comune in base al quale credenti e non credenti, in ricerca, si possono ritrovare. In linea con il Concilio, questa interpretazione pur apologetica, permette infatti il confronto con le altre culture e religioni”. 

Un dialogo ineludibile

“In quel discorso, Benedetto XVI ribadisce l’intento fondamentale del suo pontificato e cioè la promozione del dialogo tra fede e ragione. A questo scopo, a Regensburg, Ratzinger chiese un allargamento della ragione anche alle domande che riguardano il trascendente. Ma, soprattutto, Benedetto XVI spiegava che senza questo allargamento non è possibile il dialogo interculturale e interreligioso”. Ad affermarlo è Mirella Santerini, docente di pedagogia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Direttrice del Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali. “E’ chiaro che toccava anche il nodo dell’incompatibilità fra religione e violenza che, specie oggi con la recrudescenza del terrorismo islamista, resta di grande attualità. E’ un dialogo che va avanti quello tra cristiani e musulmani. Mi pare, a questo proposito, ci siano due rischi opposti da evitare. Considerare l’islam naturalmente violento, quindi il Corano geneticamente fonte di violenza; oppure eludere il discorso, mistificandolo, affermando che non c’è alcun rapporto fra islam e violenza”. “Era comunque un discorso che apriva al dialogo interculturale, proprio nella misura in cui proponeva una ragione allargata alle domande della fede. E poi aveva una riflessione interessantissima sulla necessità interna di questo dialogo fra le culture, in quanto strutturalmente incomplete. Le sfide della violenza e quelle di una laicità troppo blanda, neutrale, richiedono oggi proprio questo tipo di dialogo fra culture e religioni che può essere la risposta a tanti mali della nostra società”








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