2016-09-15 10:38:00

Mons. Nona: liberazione Mosul avvenga senza la guerra


Il vicesegretario di Stato americano Antony Blinken, in visita a Baghdad, ha affermato che le forze irachene, appoggiate dalla Coalizione internazionale a guida statunitense, hanno strappato finora al sedicente Stato Islamico la metà dei territori che aveva conquistato nel 2014, l'anno della sua massima espansione nel Paese. Blinken ha anche annunciato lo stanziamento di 181 milioni di dollari da parte di Washington per aiuti umanitari, che dovranno servire soprattutto per far fronte ad una nuova ondata di sfollati prevista per quando le truppe lealiste lanceranno l'offensiva per riconquistare Mosul, la seconda città più grande del Paese, considerata la 'capitale' dei jihadisti in Iraq. Michele Raviart ne ha parlato con mons. Amel Shamon Nona, arcivescovo emerito di Mosul e ora vescovo dell’eparchia di S.Tommaso apostolo di Sydney dei Caldei, in questi giorni a Roma ospite di Aiuto alla Chiesa che Soffre:

R. - La nostra comunità è veramente molto preoccupata per la liberazione della città e della Piana di Ninive. A che prezzo sarà liberata la città? Se ci sarà una battaglia, una guerra nella città o nella Piana di Ninive, come è accaduto nelle altre città dell’Iraq, sarà un disastro, perché le altre città – come abbiamo visto – sono state tutte distrutte. È logico che quando in una città c’è una battaglia tutto viene distrutto. La nostra comunità è molto preoccupata. Speriamo che questa liberazione avvenga senza la guerra.

D. - Loro immaginano di tornare a vivere a Mosul?

R. - É molto difficile pensare che i cristiani possano tornare a Mosul. Nella Piana di Ninive è possibile; stanno aspettando.

D. – C’è paura per la condizione delle case? Sono state svuotate, saccheggiate …

R. – Tutte le case dei villaggi cristiani sono state saccheggiate fin dai primi giorni … tutte!

D. – Quale futuro immagina per la comunità cristiana?

R. - Noi come cristiani dobbiamo sempre avere la speranza. La nostra missione è quella di vivere come cristiani in quella terra. Pensiamo concretamente che ci sarà una comunità anche in Iraq, ma sarà maggiormente concentrata nel Nord del Paese. Speriamo che coloro che oggi si trovano in quelle zone rimangano lì e non vadano via.

D. - Il Papa ha ricordato come oggi ci siano più martiri cristiani rispetto ai primi secoli. Questo riguarda anche i cristiani del Medio Oriente...

R. – Il Santo Padre in molte occasioni parla di quello che accade ai cristiani in Iraq. Il genocidio, durato due anni, è stato un fatto reale, concreto. Ma c’è anche oggi, perché quando una comunità viene sradicata dalla sua terra, dal suo passato, da tutto ciò che possiede, questo è genocidio!

D. – Lei si trova in Australia. Che vuol dire gestire da così lontano una comunità che appartiene ad uno dei luoghi più antichi del cristianesimo?

R. - Quello che è accaduto alla nostra comunità in Iraq ha avuto un effetto negativo anche sui nostri fedeli in Australia, perché sono tutti iracheni, sono tutti venuti dall’Iraq. Proviamo sempre a fare qualcosa per aiutare i nostri fedeli rimasti là. Questo aiuto li rende più “comunità” perché fa sentire loro il bisogno di essere cristiani, di essere una comunità forte per aiutare anche gli altri che vivono una situazione difficile.








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